Io, omosessuale, odiavo me stesso e sono finito in un movimento di estrema destra

Il racconto di Marco, 29 anni. Salvato suo malgrado dall'amore di un ragazzo.

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gay ed estrema destra
6 min. di lettura

Mi chiamo Marco, ho 29 anni e sono originario del Sud Italia. Attualmente lavoro in ambito aziendale.

Ho capito di essere gay intorno ai 13 anni. Provavo attrazione per i ragazzi più grandi di me e per quegli attori super belli in tv. Questa attrazione mi turbava tantissimo, la consideravo innaturale e soprattutto molto pericolosa. Pur avendo dato un nome alla mia inclinazione decisi subito dopo di seppellirla in un cassetto e di non tirarla mai più fuori.

Ho fatto coming out con i miei genitori a 18 anni, con grande fatica. Con gli amici intorno ai 25. Devo dire che la mia è una famiglia aperta e molto distante dalle ideologie che ho abbracciato, anche se quando lo dissi ai miei genitori la loro prima reazione fu di iniziale rimozione. Ma nient’altro.

Lo scoglio maggiore da superare ero proprio io e quello che io stesso pensavo dell’omosessualità.

Lo dissi infatti con molta vergogna e con la silente e implicita promessa di non vivere mai quell’orientamento. Più che un coming out fu un’autodenuncia.

La mia vita era quella di un adolescente abbastanza chiuso e asociale, molto ripiegato su me stesso e inquietato alla prospettiva di essere scoperto da amici, compagni di classe e famigliari. Provavo molta rabbia per la semplicità con la quale, almeno all’apparenza, i miei coetanei conducevano le loro vite sociali e sentimentali, da cui mi sentivo escluso. Oggi direi che ero invidioso e molto arrabbiato. L’approfondimento, spesso maldestro, di temi storici e di attualità aiutava a distinguermi dagli altri. Paradossalmente, se da un lato avevo paura di mostrarmi “diverso” perché gay, dall’altro volevo che gli altri mi percepissero in maniera differente da loro. In questo ci riuscivo alla grande.

Non avevo una vita affettiva e direi neppure sociale; mi ero consacrato totalmente alla “causa” politica. In cuor mio credevo di poter eliminare qualsiasi attrazione impura e sostituirla con una più legittima visione ideologica.

Avevo da poco compiuto 15 anni, mi iscrissi su una piattaforma online frequentata da persone di tante estrazioni politiche, per lo più di estrema destra; c’erano anche fascisti, nazisti e simpatizzanti del Ku Klux Klan.

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Alquanto banalmente, come spesso accade in questi casi, mi sentivo parte di qualcosa di più grande di me. Quel genere di discorsi facevano molta presa, la polemica che si innescava con il resto della società civile mi eccitava molto: in quel modo riuscivo a farmi sentire. Certo, era facile incontrare il disgusto altrui, ma anche quello funzionava un po’ da catalizzatore. Più il mondo civile esprimeva sdegno e preoccupazione, più una sottospecie di “noi” prendeva forma. Inoltre la narrazione totalmente invertita dell’attualità e della storia, rispetto a quella normalmente veicolata dai mezzi di informazione, mi faceva percepire come detentore di una verità scomoda e scottante. Per un adolescente senza posto nel mondo, devo dire, era un vero e proprio tonico. E poi in questo modo ero io quello da temere, con un ribaltamento di ruolo estremamente attraente!

La mia esperienza in questa realtà “intellettuale”, se così si può definire, è durata svariati anni.

Quando intorno ai 20 anni mi sono innamorato per la prima volta, i contatti con quelle persone sono divenuti progressivamente sempre più difficili e complicati.

Fingere era ormai impossibile e i loro discorsi, un tempo anche i miei, mi ferivano.

Un conto era provare attrazione per gli uomini e riuscire a nasconderla, un conto era amarne uno sul serio e sentirsi in difetto per questo.

Decisi quindi di abbandonarli, sebbene già da tempo avvertivo una crescente distanza sui fondamenti ideologici. Tuttavia le attività del gruppo, già sotto la lente di ingrandimento di svariati giornali, erano divenute oggetto di un’indagine giudiziaria, quindi nei mesi successivi fui tratto ugualmente a giudizio per rispondere dei reati puniti dalla Legge Mancino.

Era un gruppo indipendente e trasversale che aveva come “mission” quello di proteggere la razza bianca dalla sua presunta e prossima estinzione, informando – per così dire – sui rischi dell’immigrazione, dei matrimoni interrazziali e in generale delle politiche liberali e democratiche, considerate pericolose e dannose. Abbracciava molte posizioni, per lo più strizzava l’occhio ai passati regimi dittatoriali. Non era legato a partiti ed, anzi, anche i movimenti comunemente noti come di estrema destra venivano visti in maniera alquanto critica perché giudicati troppo permissivi. Le posizioni praticate erano razziste, per lo più antisemite, sorrette da deliranti tesi pseudoscientifiche del secolo scorso e dal negazionismo dell’olocausto.

Vi erano molte posizioni, qualcuno apparteneva alla “sottocultura” naziskin, quindi ne imitava il look. Altri erano di ispirazione più reazionaria e quindi meno appariscenti. Che io sappia non v’erano cerimonie o rituali, ma era molto ammirata l’estetica del nazismo.

Non credo sia stato l’unico omosessuale nel gruppo, ma ovviamente nessuno me lo ha mai confessato.

L’opinione sull’omosessualità era molto negativa; per lo più i gay erano visti come malati e/o peccatori cui non dover accordare alcun diritto, riconoscimento o semplice stima. Vi erano anche prese in giro di tanto in tanto, dileggi e manifestazioni di disprezzo.

Qualcuno apprezzava Jörg Haider (il politico austriaco morto nel 2008) o Ernst Röhm, ma l’omosessualità era pur sempre vista come un qualcosa di negativo e deteriore.

L’unica concessione ammessa era legata al fatto che i gay, non potendo procreare naturalmente, non possono contribuire neppure alla “contaminazione” della razza bianca. Per tanto tempo ho condiviso queste visioni, poi col passare del tempo ho provato timidamente ad avanzare posizioni più aperte, con risultati ovviamente disastrosi. Soltanto in un’occasione, intorno ai 19 anni, ricordo di aver incominciato a comunicare, tramite messaggi, con un ragazzo più grande di me militante di un partito di estrema destra. Ci piacevamo, ce lo dicemmo, ma finì lì. Aveva paura di essere scoperto e cacciato.

Nel gruppo mi sono sempre occupato del lato intellettuale, sistemando le regole e veicolando la comunicazione esterna.

Come è poi emerso in sede giudiziaria, molte di quelle persone avevano intenzione di organizzarsi in modo più strutturato, allargando il giro, così da far volantinaggio, “informazione” e propaganda, comprese manifestazioni sul territorio e raccolta di dati delle persone ritenute pericolose. Tutte queste cose sono finite al vaglio della magistratura. Sul piano personale rifiutavo contatti con persone di altre etnie e provavo molto disagio anche soltanto nel guardare altri ragazzi gay. Quelle ideologie dominavano la mia vita, non c’erano momenti in cui mi consentivo comportamenti difformi. Tanto per dirne una, sul bus dovevo cambiare posto se una persona di colore si sedeva di fianco a me. Spesso ci stavo male, ma dovevo farlo, era tanto più forte di me.

Nessuno sapeva della mia omosessualità.

Mi vergognavo tantissimo della mia omosessualità e la ritenevo comunque offensiva e invalidante.

Dentro soffrivo molto perché mi sentivo sporco, ma il coinvolgimento in quel genere di ideologie mi sembrava troppo più importante e grande di me.

A tratti mi sono sentito realmente in pericolo in quanto ragazzo bianco!

Sono rimasto in balia di questo mondo per almeno 5/6 anni. Ne sono uscito perché non ce la facevo più, nel tempo e grazie allo studio avevo compreso che quelle ideologie erano infondate e terribili, che ferivano tantissime persone e che in qualche modo ferivano anche me. Mi avevano svuotato l’esistenza, relegandomi in una gabbia fatta di tristezza, colpa e odio. Innamorandomi del mio attuale ragazzo, a un certo punto, trovai il coraggio di mollare sul serio. Era però troppo tardi perché qualche mese dopo fui comunque coinvolto nella vicenda giudiziaria, conclusasi solo di recente.

Credo che questa orribile vicenda mi abbia condizionato in profondità. Mi dispiace tantissimo di aver investito energie e speso il mio nome per ideologie tanto terribili e universalmente aborrite. Mi sentivo completamente solo e abbandonato da ragazzino, non credevo possibile alcuna felicità in quanto omosessuale. Al tempo non associavo le due cose, ma con gli anni e dopo tanto lavoro fatto su me stesso ho capito che il mio disagio sessuale e affettivo mi aveva spinto a ricercare l’accettazione (e una certa dose di “potere”) all’interno di un gruppo politico che, almeno apparentemente, sembrava forte e deciso. Non volevo essere io, proprio io, la vittima di quella società che mi spaventava tanto e da cui mi sentivo, a torto o a ragione, minacciato. Credevo che i panni dell’anti-eroe portatore di scomode verità mi potessero vestire meglio. Ovviamente mi sbagliavo e ho pagato per questo. Mi chiedo ancora come sia stato possibile, per così tanto tempo, aver valutato in maniera meno grave l’essere considerato un pericoloso razzista che non un semplice ragazzo gay!

Attualmente sono fidanzato con il mio ragazzo che (senza saperlo) mi ha aiutato ad uscire fuori da quel mondo buio e infelice.

Ho anche qualche amico gay, ma ancora non riesco a vivere con completa serenità la mia condizione, né in pubblico né nell’ambiente LGBT.

Sento una diffidenza da parte mia e un’incapacità di relazionarmi con tranquillità. Forse, in qualche modo, credo di aver contribuito a rendere difficile la loro – la nostra – vita. Spero che altri non commettano il mio stesso errore e spero anche che tutti quelli che credono possibile un’esistenza felice su queste basi ideologiche decidano presto o tardi di salvarsi, scendendo a patti con la loro natura. Negarsi è un po’ come morire.

[abbiamo ricevuto questa lettera e la pubblichiamo nella convinzione che possa supportare alcune persone nell’accettazione di sè. Marco è un nome di fantasia a tutela dell’autore che preferisce restare anonimo, essendo tutt’ora coinvolto negli strascichi delle vicende giudiziarie n.d.r]

Leggi anche:

Matteo Mena ci presenta la realtà degli skinheads gay

 

 

 

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Anonimo 28.11.20 - 19:32

Questa storia mi ha ricordato un film del 2009 struggente nella sua aspra drammaticità, "Fratellanza - Brotherhood", lo consiglio a chi non lo ha ancora visto. Grazie Franzc per aver condiviso la tua esperienza. Per fortuna hai trovato uno psicologo serio e non un cialtrone che crede nelle cosiddette terapie riparative.

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Franzc Dereck 28.11.20 - 11:54

Un'esperienza molto simile alla mia , parallela a questo , come me , ragazzo del Sud. Escluso ogni giudizio sulle scelte " politiche" che riguardano od hanno riguardato il vissuto personale , familiare od ambientale , voglio rivolgere un eterno grazie alla cara memoria del Prof. Morabito , psicologo al quale mi ero rivolto pensando di " risolvere" la mia attrazione verso il mio stesso sesso. Appena cominciato a parlare mi disse che prima di ogni cosa dovevo capire ed accettare che l'omosessualità non era una malattia da curare ma una variante della sessualità. Era il 1959 .

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