Se una persona “avverte un evidente disagio nel suo comportamento sessuale o in pensieri rivolti a persone dello stesso sesso e chiede esplicitamente di passare da una posizione di orientamento omosessuale verso pensieri e pratiche eterosessuali” può farsi aiutare da un psicologo che applichi i protocolli adoperati quando l’omosessualità era considerata una malattia. Questa risposta, data ad un utente sul sito guidapsicologi.it , è costata al dott. Paolo Zucconi di Udine, è costata tre mesi di sospensione da parte dell’Ordine degli Psicologi.
La domanda posta dall’utente lasciava poco spazio ad interpretazioni: “È possibile uscire dall’omosessualità?”. Mentre tutti gli altri psicologi che rispondono sul sito alle domande poste hanno puntato a chiarire che l’omosessualità non è qualcosa di cui liberarsi e da cui guarire, il dott. Zucconi, specializzato in psicologia clinica e psicoterapia, ha risposto in questo modo:
“Quando l’omosessualità era considerata una malattia (prima del 1991) dal Manuale diagnostico del disturbi mentali redatto dall’APA gli psicoterapeuti cognitivo comportamentali utilizzavano un efficacie protocollo terapeutico con buon successo. Lo stesso protocollo può essere utilizzato anche oggi con altrettanto successo – all’interno dell’approccio cognitivo comportamentale – solamente nel caso che la persona avverta un evidente disagio nel suo comportamento sessuale o in pensieri rivolti a persone dello stesso sesso e chieda esplicitamente di passare da una posizione di orientamento omosessuale verso pensieri e pratiche eterosessuali”.
Secondo quanto riporta il quotidiano dei vescovi Avvenire , a denunciare all’Ordine degli Psicologi della Lombardia, dove il professionista ha uno studio, sarebbe stato un collega che ha letto la risposta di Zucconi. Dalla segnalazione è partita l’indagine dell’ordine che ha sentito Zucconi e, alla fine, ha deciso per tre mesi di sospensione, il che significa che il professionista non potrà lavorare per questo arco di tempo.
Ad Avvenire, lo psicoterapeuta ha dichiarato “di non aver mai avuto l’occasione di sperimentarne l’efficacia” dei protocolli suggeriti all’utente, ma anche che “se un paziente mi chiedesse di essere aiutato, esaminerei il caso e non mi tirerei indietro”.
Solo qualche giorno fa, in relazione al convegno in programma a Milano sulla “famiglia naturale” sponsorizzato con il logo di Expo e patrocinato dalla Regione, l’Ordine degli Psicologi si era espresso in maniera netta sulla questione. Sollecitato per l’adesione al convegno di Obiettivo Chaire, organizzazione che promuove le cosiddette “terapie riparative”, il presidente Riccardo Bettiga aveva ribadito “la sentita e naturale condanna rispetto alle suddette “terapie riparative”.
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