Sette anni dopo essere stata allontanata dal suo ruolo di insegnante, Cloe Bianco si è suicidata dando fuoco al proprio corpo e lasciando questo messaggio:
“Il possibile d’una donna brutta è talmente stringente da far mancare il fiato, da togliere quasi tutta la vitalità. Si tratta d’esistere sempre sommessamente, nella penombra. In punta di piedi, sempre ai bordi della periferia sociale, dov’è difficile guardare in faccia la realtà. Io sono brutta, decisamente brutta, sono una donna transgenere. Sono un’offesa al mio genere, un’offesa al genere femminile. Non faccio neppure pietà, neppure questo”.
La storia straziante di una donna morta suicida e il suo corpo carbonizzato sono il risultato di una cultura omobitransfobica nel paese il cui Senato della Repubblica ha applaudito il fallimento di una legge di protezione per le persone LGBTQIA+ (il Disegno di Legge Zan).
Ma nella tragedia di Cloe Bianco c’è di più. Non solo il legislatore decide di non promulgare una legge di protezione. Di più. Da un lato le istituzioni regionali mancano di svolgere appieno il proprio ruolo esecutivo nell’applicare linee guida e procedure che favoriscano la convivenza civile di tutte le identità e dall’altro si fanno esse stesse promotrici di sberleffo, gogna, discriminazione. È politicamente accettabile?
È giuridicamente inappuntabile?
Quando nel 2015 Cloe Bianco si presentò in classe ai suoi studenti chiedendo di essere identificata come donna, l’assessora della Regione Veneto Elena Donazzan pubblicò commenti sui social network e definì quel gesto “Una carnevalata”, parlando di “signore vestito da donna”. Alcuni genitori protestarono per il fatto che i figli non erano stati preparati a quel momento. Ne derivò una gogna che portò all’allontanamento di Cloe dal suo ruolo di insegnante di fisica dell’istituto di San Donà di Piave presso cui insegnava.
Dunque le istituzioni italiane da un lato compiono la scelta politica di non tutelare le persone LGBTQIA+, affossando una legge di aggravante per i gesti derivanti da odio omobitransfobico, dall’altro si astengono dall’attuare provvedimenti esecutivi che consentano alle persone LGBTQIA+ di vivere in un clima di piena accettazione delle proprie identità. E non solo: le istituzioni, come è evidente dai post e dall’atteggiamento dell’assessora Donazzan, si prodigano per gettare benzina sul fuoco della gogna pubblica.
Benzina sul fuoco che da figurativa si è tramutata in fiamme reali, che hanno privato Cloe Bianco della propria vita. Cloe ha scelto liberamente di porre fine alla propria esistenza.
Ma quali e di chi sono le responsabilità politiche e civili che hanno indotto Bianco a compiere il gesto estremo? Ci sono responsabilità giudiziarie?
- La Regione Veneto e nello specifico l’assessora Donazzan hanno istituito linee guida al fine di favorire un armonioso inserimento di insegnanti transgender o hanno abbandonato studenti e insegnanti a se stessi?
- Il presidente della Regione Veneto Luca Zaia non ritiene opportuno ritirare la delega alle Pari Opportunità all’assessora Elena Donazzan per mancato svolgimento del proprio ruolo?
- Perché l’assessora Elena Donazzan da poche ore ha deciso di chiudere i proprio social network in forma privata?
- La Regione Veneto e nello specifico l’assessora Donazzan con i suoi post e le sue definizioni “carnevalata”, e “signore vestito da donna” hanno favorito il clima di emarginazione che ha indotto al suicidio Cloe Bianco?
- Nel paese il cui Senato applaude simbolicamente contro le persone LGBTQIA+, le responsabilità politiche risiedono a Roma e in Parlamento, ma certamente nella tragedia di Cloe Bianco c’è qualcosa in più su cui è necessario andare a fondo. Ci sono responsabilità giudiziarie da parte della Regione Veneto e dell’assessora Donazzan?
- Gli avvocati di Donazzan hanno consigliato di rendere privati i social network dell’assessora come forma di precauzione legale?
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