Rispetto, tatto, approfondimento. In un mondo ideale questi elementi dovrebbero essere sempre presenti prima di giudicare una vicenda tragica come quella del ragazzino quindicenne che la scorsa notte si è tolto la vita. Non sempre, quasi mai, è invece possibile averli. Si fa largo, allora, una reazione di pancia in solidarietà alla vittima che ci porta a individuare istintivamente i suoi carnefici.
Siamo stati tutti, io per primo, anche se solo per qualche ora, a lanciare accuse, puntare il dito, a urlare che quel ragazzo è stato ucciso dai suoi compagni di classe che lo deridevano e da una scuola che non è stata capace di accoglierlo. Tutto sulla base di una storia raccontata da una sola fonte che forse – sarebbe l’ennesima volta – cercava un po’ di visibilità sui giornali e l’ha trovata dando la vicenda e i suoi teoremi in esclusiva ad un quotidiano nazionale. Se le cose siano andate davvero come le abbiamo lette (pagina facebook, vestiti rosa, insulti) è ancora presto per dirlo e forse tutto è un po’ più complesso di così: la verità ha mille facce e forse la verità vera mai la sapremo. Del resto, quella pagina era stata costruita da lui insieme ai compagni e l’ambiente scolastico, a partire dalla sua insegnante di riferimento, pare fosse tutt’altro che ostile.
C’è un bellissimo film francese del 1997, come mi ricordava un amico parigino su Facebook: "La mia vita in rosa". Racconta le vicende di un bambino di 7 anni che sente di essere una bambina e vuole sposare il compagno di banco. Troverà molta dolcezza solo da parte della nonna, sognatrice quanto lui: la famiglia e gli amichetti non sempre si dimostreranno capaci di interpretare la sua vera dimensione, non per cattiveria ma per banale e umanissima ignoranza. Alla fine il ragazzo, nonostante riesca a farsi accettare in qualche modo, non ce la fa. E’ una storia verosimile, specchio della società che dobbiamo e vogliamo cambiare, a volte anche solo riflettendo, anziché urlando. Ma non sappiamo neppure se questa storia è la stessa del quindicenne romano e quali ragioni lo abbiano indotto a non vedere più il suo futuro.
Solo una cosa noi sappiamo: che c’è una vittima. Non sappiamo se è vittima di qualcosa o di qualcuno: se ci sono carnefici davvero è presto per dirlo e di teoremi in nome del nostro sacrosanto diritto a cambiare la società in cui viviamo non ne abbiamo proprio bisogno, anche perché rischiamo – in questo caso come purtroppo anche in altri, chissà come mai sempre a Roma – che ci si ritorcano contro.