Le opinioni sono discordanti, ma per una volta ce ne usciamo niente male. Dopo le catatoniche New York (LEGGI >) e Londra (LEGGI >), Milano è riuscita a (ri)creare dell’interesse. Ecco le dieci cose che ci porteremo della Spring Summer 17 Donna dalle passerelle di Milano.
1. Ucci Ucci ancora Gucci
Se si riguarda al primo show di Alessandro Michele, ormai già consegnato alla storia, quello organizzato -si dice- in due settimane, dopo l’addio per così dire ‘sofferto’ di Frida Giannini, con lui che prende il comando e in quattro e quattr’otto organizza un circo che avrebbe prima fatto scandalo e poi sarebbe diventato uno dei più osannati del mondo della moda, pare roba da educande. Stagione dopo stagione si alza il volume e si rischia il sangue dal naso. The bigger the better. Per il momento l’impianto tiene e la cassa pure, dato che i soldi, dati di vendita alla mano, arrivano e come. Angelo Flaccavento su Businees of Fashion dice che lui si è già un po’ rotto le palle. Chi scrive lo trova eccessivo, ma certo inizia a farsi largo un dubbio legittimo: dove vogliamo arrivare? Ma magari possiamo iniziare al prossimo show a chiedercelo seriamente.
2. Il compleanno di Bottega Veneta
La sfilata-evento per i 50 anni della maison, che per l’occasione ha allestito lo show all’interno dell’Accademia di Belle Arti di Brera. Così l’evento, trattandosi di uno dei marchi più understated del sistema moda, si è trasformato in una bella sfilata molto citazionista e narrativa, senza sfarzo e senza cafonal. L’attenzioni ai materiali e alle pelli, alle lavorazioni, a un lusso concreto mai ostentato e senza tempo, nel senso proprio da 0 a 99 anni. Abiti che possono essere un tesoretto della moda, banconote sotto la mattonella, addirittura lingottini nascosti nei cuscini del divano come da prima repubblica. Bella l’uscita finale di Gigi Hadid, influencer contemporanea, e Lauren Hutton, feticcio senza tempo, da quando era una supermodella prima che esistessero le supermodelle, e da quando poi sfoggiava borse di Bottega Veneta in American Gigolo con Richard Gere.
3. Concretezza MSGM
Massimo Giorgetti sa fare molto bene una cosa: mettere in campo elementi ostici e renderli assimilabili e attraenti per una fetta di mercato che apprezza la moda ma trova ostico e (giustamente) insopportabile l’atteggiamento esclusivo e austero dei concettuali. E anche a questo giro la faccenda funziona. C’è tanto Prada nell’ispirazione, nel mix di sneakers, sporstwear, tessuti tecnici e stilemi da anni 60, ma senza spocchia e anzi con una joie de vivre che raramente (MAI) si vede sulle passerelle di Miuccia. Qualche dubbio sullo styling ma il problema è minimo se si pensa che sono abiti abiti pensati per persone reali.
4. Prada back to Prada
Miuccia Prada dopo aver smarrito la strada per qualche stagione è tornata a fare quello che le viene meglio: essere Miuccia Prada. Tutto un quadro quasi sinottico di cosa ha significato e continua a significare essere la signora della moda concettuale. Milanese. Insopportabile. Rivoluzionaria. E quel plus inarrivabile che a un certo punto fa dire a tutti ‘è così brutto che quasi mi piace’. C’è chi sostiene che ok, bellissimo, ma a conti fatti è tutta roba già vista. E poi c’è chi semplicemente non aspettava che potersi riempire ancora gli occhi e la testa di quella magnifica e impalpabile violenza. In ogni caso, ne avevo già scritto qua e sia chiaro che “L’eleganza è una cosa semplice” (LEGGI >)
5. Brand New: Marco De Vincenzo
Un giovane designer italiano che, incomprensibilmente, è veramente giovane. In un paese dove la stampa di settore definisce ’emergente’ gente che ha 45 anni e lavora nella moda da 25. In un mondo di reference continue ad altri designer e di corsie creative sempre più strette in favore di trend stilistici vincenti che tutti seguono per fare cassa, De Vincenzo propone una storia personalissima e riconoscibile. Lavora su stilemi chiari, le frange e il color-blocking, che nella ripetizione diventano segno e racconto di una identità.
6. Jil Sander e le spalline
Rodolfo Paglialunga è designer di Jil Sander da 2 anni, e questa stagione sembra essersi ispirato proprio a Jil Sander stessa. Icona di eleganza razionale e minimalista, a modo suo capace di essere tanto sessuale quanto castigata. Criticato per le spalline esagerate, ‘anche tu dietro a Demna Gvasalia di Vetements e Balenciaga’ gli hanno detto, ‘mi sono ispirato agli anni 40 e soprattutto all’esasperazione che gli anni 80 hanno fatto degli anni 40’ ha risposto lui. E se si guarda tutta la sfilata senza fissarsi sui dettagli non si può che dargli ragione, che viene voglia di andare da tanti fashion editor e risvegliarli da questo lungo incubo di Vetements. Le spalline esistevano anche prima. A ben vedere poi c’era anche tanta Krizia in quella sfilata, ma nessuno l’ha citata, chissà perché.
7. Remember Marni?
Se Miuccia Prada è universalmente riconosciuta come la signora della moda intellettuale, l’altra donna che incarna quello spirito ma con piglio più di nicchia, ai limiti dell’ossessione e dell’ostentata antipatia è Consuelo Castiglioni di Marni. Marchio difficile e snob senza se e senza ma, che sa di cucina macrobiotica, casale in Toscana ristrutturato da Vincenzo de Cotiis, il Manifesto sul tavolo del salotto, Birkenstock e marito che fuma la pipa. In sordina nelle ultime stagioni torna e sa dire la sua. Tanto Giappone nelle ispirazioni, volumi tra Comme Des Garçons anni 80 e tutta la meticolosa successiva ricerca di Yamamoto. Tasche enormi, esagerate diventano borse fuse con gli abiti.
9. Renzi goes Fashion
Matteo Renzi che inaugura la settimana della moda milanese. È la prima volta che un Presidente del consiglio lo fa. E dimostra buonsenso e lungimiranza a mettere la faccia in un sistema che rappresenta il paese più di qualunque altro. Che genera e ha generato profitto. Che tiene in piedi l’economia di una città e di tante piccole altre che non sono fashion ma sono manifatturiere e stanno alla base di tutto questo circo. È semplicemente assurdo che nessuno l’abbia fatto prima.
9. Au Revoir Philipp Plein
Dopo l’ennesimo party con annessa sfilata, il designer tedesco ha dichiarato che dalla prossima stagione presenterà a New York. Lascia Milano con un circo 50s-pop-pin-up-cartoon e chi più ne ha più ne metta. Paris Hilton e Fergie. Sugli abiti non c’è niente da dire, come al solito, ma si sa che a nessuno interessino davvero. Men che meno a lui che li crea. E il mistero è sempre lo stesso mentre i monomarca spuntano come funghi in tutto il mondo: ma chi li compra? I russi, dicono. Mah. Sarà. Certamente un’altra cosa PP la sa fare meglio di chiunque altro, ed è proporre uno stile di vita. Il designer più amato dagli italiani verrebbe da dire, che per anni si sono potuti godere megaparty, live epocali (si ricorda Grace Jones di qualche anno fa) e vodka a costo zero. C’è chi tira un sospiro di sollievo, come quando si saluta finalmente un cugino cafone che ci si è piazzato in casa per troppo tempo e chi invece già rimpiange l’indotto (o l’open bar). Vai a sapere, si ha comunque l’impressione che noi non mancheremo a lui.
10. You gotta fight for you right to fashion
Gigi Hadid che tira una gomitata in faccia a un coglione.
SENZA NUMERO: La magnifica Greta sfila per Fausto Puglisi (Leggi >)
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Per anni abbiamo lanciato alle ortiche la feliere italianissime andando in oriente a produrre e ora ci vorranno anni a tornare a farci tutto in casa con cura e stile in ogni dettaglio comprese le presentazioni. Lavorazioni artigianali dettagli unici Vengono dal nord Europa a produrre qui sopratutto nella pelle per il made in italy o made in Toscana vorrà pure dire qualcosa. Ho apprezzato molto l'estenazione di Giorgio Armani sul cattivo gusto di certe scelte urbanistiche. Anche là una casa di corte con i balconi in beola e ringhiere in ferro battuto la trovi solo qui in Italia se scimmiottiamo Dubai siamo finiti.