Il 6 luglio del 1992 la comunità LGBT internazionale piangeva Marsha P. Johnson, trovata senza vita nel fiume Hudson. Insieme a Sylvia Rivera, Marsha P. Johnson prese attivamente parte alla ribellione del 1969, davanti al bar Stonewall, per poi co-fondare la Street Transvestite Action Revolutionaries (STAR), gruppo nato per aiutare le giovani drag queen senzatetto, le donne lesbiche e le persone transessuali. Johnson si identificava come gay, come travestito e come “drag queen”.
La notte della rivolta contro la polizia allo Stonewall INN, Marsha lanciò un bicchiere contro uno specchio, nel locale in fiamme, urlando “I got my civil rights” (“Anche io ho i miei diritti civili”). All’epoca viveva per strada e si prostituiva per sopravvivere. Finì in carcere un centinaio di volte. Passò gli ultimi 12 anni della sua vita nell’appartamento di Randy Wicker, che non ha mai creduto alla tesi del suicidio. Poco dopo il Pride del 1992, il suo corpo fu trovato nel fiume. La polizia chiuse rapidamente il caso, etichettandolo come suicidio. Ma gli amici e conoscenti di Marsha, icona LGBT in tutto il mondo, non hanno mai creduto a questa tesi. Non a caso la sua testa riportava “un’enorme ferita“. Marsha andava in giro a raccontare che la mafia la voleva morta. Mafia, va ricordato, che all’epoca gestiva i bar gay della Grande Mela, Stonewall Inn in testa.
Il corpo di Marsha fu cremato e le sue ceneri furono sparse nel fiume dai suoi amici. La polizia permise che la Settima Avenue venisse chiusa, mentre le sue ceneri venivano portate al fiume. Nel 2012 l’attivista Mariah Lopez è riuscita a far riaprire il caso dal dipartimento di polizia di New York per classificarlo come possibile omicidio. In tal senso su Netflix c’è un bellissimo documentario del 2017, diretto da David France, che ripercorre la vita di Marsha e Sylvia, icone del movimento troppo spesso dimenticate. “The Death and Life of Marsha P. Johnson” il titolo del documentario, che snocciola immagini di repertorio e interviste, tanto alla Johnson quanto alla Rivera, incrociando l’indagine sulla morte di Marsha da parte dell’attivista Victoria Cruz.
Pochi giorni fa Google ha voluto dedicare un Doodle ad hoc per celebrare Marsha, mentre nel 2021 dovrebbe prendere forma un monumento a lei e alla Rivera dedicato nel cuore di New York.
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