Per i 76 anni di Marsha P. Johnson, storico volto della nostra comunità nata il 24 agosto del 1945 e deceduta il 6 luglio del 1992, un gruppo di attivisti queer ha realizzato un busto celebrativo, installato nel Christopher Park di New York. Da due anni la Grande Mela attende i due annunciati monumenti a Marsha e Sylvia Rivera. Li promise Bill de Blasio alla vigilia del World Pride. Stanchi di aspettare, alcuni attivisti transgender guidati da Eli Erlick, coordinatrice del progetto, hanno affidato all’artista transgender Jesse Pallotta il compito di ritrarre una Marsha sorridente, con tiara, perle e una coroncina di fiori in testa. La targa riporta una citazione attribuita proprio a Marsha.
La storia non è qualcosa a cui ripensi e dici che era inevitabile, succede perché le persone prendono delle decisioni che a volte sono molto impulsive e dettate dal momento, ma quei momenti sono realtà cumulative.
Segue poi una descrizione: “amante di poesia, fiori, spazio e del color viola”. Il busto si trova esattamente davanti lo Stonewall Inn, leggendario bar gay in cui nell’estate del 1969 prese vita il movimento LGBT.. La notte della rivolta contro la polizia allo Stonewall INN, leggenda narra che Marsha lanciò un bicchiere contro uno specchio, nel locale in fiamme, urlando “I got my civil rights” (“Anche io ho i miei diritti civili”). All’epoca viveva per strada e si prostituiva per sopravvivere. Finì in carcere un centinaio di volte. Passò gli ultimi 12 anni della sua vita nell’appartamento di Randy Wicker, che non ha mai creduto alla tesi del suicidio. Poco dopo il Pride del 1992, il suo corpo fu trovato nel fiume. La polizia chiuse rapidamente il caso, etichettandolo come suicidio. Ma gli amici e conoscenti di Marsha, icona LGBT in tutto il mondo, non hanno mai creduto a questa tesi. Non a caso la sua testa riportava “un’enorme ferita“. Marsha, che si è sempre autodefinita drag queen, andava in giro a raccontare che la mafia la voleva morta. Mafia, va ricordato, che all’epoca gestiva i bar gay della Grande Mela, Stonewall Inn in testa. Il corpo di Marsha fu cremato e le sue ceneri furono sparse nel fiume dai suoi amici. La polizia permise che la Settima Avenue venisse chiusa, mentre le sue ceneri venivano portate al fiume. Nel 2012 l’attivista Mariah Lopez è riuscita a far riaprire il caso dal dipartimento di polizia di New York per classificarlo come possibile omicidio.
Christopher Park aveva già un’altra statua dedicata alla comunità LGTBI, chiamata Gay Liberation, inaugurata nel 1992, in cui compaiono due uomini e due donne. Finora non era mai stato realizzato un monumento esplicitamente dedicato alla comunità trans in tutta New York. Un anno fa Andrew M. Cuomo annunciò l’intitolazione del parco statale di New York, a Brooklyn, a suo nome. Il Marsha P. Johnson State Park, che è così diventato il primo parco statale di New York ad omaggiare una persona LGBTQ di colore.
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