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Gli omosessuali nel dopoguerra: non era ancora tempo di Liberazione

La libertà per la comunità LGBT arrivò dopo il 25 aprile 1945? Non proprio. Ce lo racconta la seconda puntata del podcast Le Radici dell’Orgoglio.

3 min. di lettura
femminielli libertà

Ieri si è celebrato il 25 aprile, Anniversario della Liberazione d’Italia. Con la fine di un incubo, gli italiani hanno iniziato a riscoprire la libertà, un sentimento che avevano dimenticato. Nella seconda puntata del podcast Le Radici dell’Orgoglio, si racconta cosa è stato il dopoguerra per la comunità LGBT.

Ascolta “Le Radici dell’Orgoglio Ep.#2 – Quando eravamo invertiti (1900-1959)” su Spreaker.

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Dai Gran Tour all’arresto

Nell’800, i rampolli delle nobili famiglie europee venivano nel Belpaese per vivere liberamente la propria sessualità. Erano chiamati Gran Tour e ogni anno richiamavano centinaia di turisti LGBT dal nord Europa. Visitavano tutta l’Italia, ma soprattutto la città di Napoli, una “vecchia” meta gay-friendly.

Facendo un balzo in avanti, il Gran Tour lascia il posto alle leggi razziali, approvate anche in Italia.

In particolare, dal 1938, i soldati tedeschi iniziano ad arrestare gli omosessuali; un vero e proprio rastrellamento, come avveniva per gli ebrei: l’obiettivo era quello di mandarli tutti al confino. Stesso trattamento ovviamente per le donne lesbiche; quelle benestanti erano protette, mentre per le più povere o le prostitute, non c’era altra via. Un film che racconta le esperienze del confino per gli omosessuali è “Una giornata particolare” del 1977, regia di Ettore Scola. Sceneggiatura di Ettore Scola, Ruggero Maccari, Maurizio Costanzo.

Gli omosessuali nel dopoguerra: non era ancora tempo di Liberazione - confino - Gay.it

In certi luoghi d’Italia, come ad esempio a Catania, i sospetti omosessuali dovevano sottoporsi obbligatoriamente a una visita medica anale, test che viene eseguito ancora oggi in alcuni Paesi. Si confermava o smentiva l’omosessualità del sospetto in base alle dimensioni dell’ano: quella era la prova della pederastia passiva, ovvero il ricevente in un rapporto tra due uomini. A “preoccupare”, infatti, erano gli omosessuali passivi e i femminielli. 

Si arrivò perfino a dover portare con sé un certificato medico di “non omosessualità”. Senza di quello, si poteva rischiare di finire ai lavori forzati presso le miniere di carbone in Sardegna (a Carbonia, appunto).

Libertà si, ma non per le persone LGBT

Dopo la liberazione dal nazifascismo, la società non era più abituata alla libertà. E per alcuni, era ancora vietata.

Un esempio di questo è avvenuto a Venezia, pochi giorni dopo il 25 aprile 1945. Filippo De Pisis, pittore, decise di organizzare un evento, richiamando nella sua abitazione nel centro di Venezia decine di giovani ragazzi, che in passato era stati modelli dell’artista. Piatto forte fdella serata, la pittura dei corpi dei modelli (l’attuale body painting).

La festa venne interrotta da una squadra di questurini, partigiani e membri del PCI, dopo la segnalazione di un ragazzo, escluso da De Pisis. Vennero portati tutti in Questura per l’identificazione. Interrogatori, offese, denigrazioni, e il rilascio. All’artista venne intimato di “non organizzare più orge del genere”. 

E questo dimostra che la libertà degli omosessuali era solo un’illusione, non la fine di un’esclusione sociale.

Gay = pedofilo

Gli omosessuali nel dopoguerra: non era ancora tempo di Liberazione - raffigurazione gay - Gay.it

Almeno fino agli anni ’70, omosessuale significava gigolò, maniaco, pedofilo.

E mentre nel mondo dello spettacolo si iniziavano a vedere storie d’amore gay (soprattutto tra due donne), la comunità LGBT continuava a venire bistrattata e discriminata. La censura era sempre in agguato, e poteva capitare che un’opera non venisse mai  più replicata.

La Polizia era sempre pronta a intervenire, ma mancava un reato specifico. A quel tempo, anche il semplice tentativo di conoscere un uomo era considerato adescamento, spiegato come il tentativo di compiere atti osceni. E naturalmente, commetti atti osceni perché sei omosessuale.

Non essendoci locali, si consumavano rapporti soprattutto di notte, nei parchi, nei bagni delle stazioni ferroviarie, nei cinema, addirittura negli androni dei palazzi. Il modo per conoscere altre persone LGBT era quello di organizzare feste private, nella libertà della propria casa. Ed è qui che si poteva trovare chiunque, dal lavoratore omosessuale a gente di un certo livello, tra i quali anche Luchino Visconti.

Comunità contro giornali e Chiesa

È Giovanni dall’Orto a spiegare quanti tentativi ci furono per formare un’associazione. Ma senza riuscirci, il motivo: la censura e la Chiesa cattolica, due ostacoli che rendevano vano ogni sforzo. Si poteva discutere di omosessualità solo quando se ne parlava negativamente, come facevano due riviste: Il Borghese e Lo Specchio. Due giornali conservatori, filo-fascisti, che ritraevano gli omosessuali come individui loschi, da evitare, facendo nomi e cognomi, sia di persone note come Pier Paolo Pasolini, ma anche gente umile, mettendola in pericolo.

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