“Avere l’HIV non è un reato”: la narrativa stigmatizzante attorno al caso di padre Andrea Melis

Il sacerdote, accusato di violenza sessuale sui minori, è sieropositivo e in terapia antiretrovirale da dodici anni. Un dettaglio irrilevante ai fini dell'indagine, e sfruttato solo per arricchire l'identikit del "mostro".

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È di pochi giorni fa la notizia dell’arresto di padre Andrea Melis, sacerdote genovese accusato di violenza sessuale su minori. L’orrore che emerge dal caso non è purtroppo una novità: il prete avrebbe offerto denaro e oggetti di valore per ottenere il silenzio delle sue vittime e approfittare della loro vulnerabilità per soddisfare i propri desideri perversi. Uno schema già visto in molti altri episodi simili, a riproporre la triste realtà di un ambiente ecclesiastico che fallisce sistematicamente nel proteggere i più deboli.

Mentre il sacrosanto diritto di cronaca è cruciale per portare alla luce tali atrocità e stimolare un’indagine più approfondita sulle radici del fenomeno, il dibattito mediatico ha però preso una piega preoccupante. Sin dall’emanazione dell’ordinanza di arresto da parte del GIP, la stampa ha infatti concentrato un’attenzione sproporzionata su un dettaglio irrilevante dal punto di vista giuridico: Melis ha l’HIV. 

La pericolosità sociale del sacerdote è accentuata dalla sua condizione di portatore di HIV, in quanto avrebbe intrattenuto rapporti sessuali non protetti con le vittime di abusi” si legge nei documenti ufficiali, formulati con un linguaggio che non solo è fortemente stigmatizzante di per sé, ma che è stato ulteriormente amplificato da alcuni media nel riportare la vicenda.

Ancora una volta, la condizione di sieropositività viene sfruttata per arricchire l’identikit del “mostro”, nonostante i legali del sacerdote abbiano già smentito qualsiasi intento doloso di trasmettere il virus alle vittime, ricordando che il loro assistito è in terapia antiretrovirale da dodici anni, il che rende la sua carica virale non rilevabile e, di conseguenza, non trasmissibile. Informazioni di natura strettamente privata, che non avrebbero mai dovuto essere divulgate in ambito giudiziario quando non rilevanti per il reato.

È LILA, la Lega Italiana per la Lotta contro l’AIDS, a denunciare in un comunicato stampa il modo in cui molte testate giornalistiche hanno trattato questo elemento, consolidando un bias che presenta lo status di sieropositività di Melis come un’aggravante, un “reato aggiuntivo”.

“La giustizia deve fare il suo corso ma l’HIV non è un reato e le persone con HIV non sono socialmente pericolose […] Per l’ennesima volta, la LILA è costretta a segnalare la scorrettezza del linguaggio e dei contenuti con cui viene trattato il tema HIV in relazione a fatti di cronaca. Di nuovo, si diffondono informazioni scientificamente sbagliate e fortemente stigmatizzanti nei confronti di tutte le persone con HIV, in un cortocircuito comunicativo tra autorità giudiziarie e diversi organi d’informazione, che rischia di incidere negativamente sul rispetto dei diritti umani e della salute pubblica”.

Da anni la scienza ha ormai chiarito che le persone in terapia antiretrovirale efficace non trasmettono il virus. La formula U=U, “Undetectable = Untransmittable”, è un principio fondamentale, riconosciuto a livello globale, che dovrebbe essere ben noto ai professionisti dell’informazione. Ignorare questa realtà e continuare a perpetuare false convinzioni non solo lede dignità di chi vive con l’HIV, ma ha anche un impatto concreto e devastante sulla gestione del virus e sulla salute pubblica.

“A causa di questa visione colpevolizzante dell’HIV, le persone che possono essersi esposte al rischio d’infezione (cioè, chiunque abbia rapporti sessuali non protetti) continueranno a evitare o a ritardare il test nel timore di ricevere un esito positivo, chi ha l’HIV continuerà a nascondere il proprio stato sierologico nel timore di subire discriminazioni e chi discrimina, si sentirà autorizzato a farlo. Sono decine, ancora, i casi di discriminazioni che ci vengono segnalati ogni anno sul lavoro, nella società, negli ambienti sanitari. ONU e UNAIDS da tempo ammoniscono sulla stretta correlazione tra stigma e aumento delle infezioni; chiunque abbia responsabilità pubbliche dovrebbe tenerlo sempre ben presente.

Il diritto di cronaca resta un caposaldo della nostra Costituzione e della nostra democrazia, tuttavia, questo non esime nessuno da un approfondimento rigoroso dei fatti, dall’utilizzo di un linguaggio appropriato e da una valutazione meditata sugli aspetti d’interesse generale dei fatti da riportare”.

 

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stefano belli 17.8.24 - 16:06

Beh certo, il problema è che ha l'HIV non che sia un cattolico che fa parte del clero :-(

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