Roma Pride, intervista al portavoce: “Roma 2025 o Orlando 2026 per il World Pride, la Raggi ci sostenga”

Abbiamo intervistato Sebastiano Secci, Presidente del Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli nonché portavoce del Roma Pride, tra primo Pride romano del 1994, trionfale Pride del 2019 e sogno World Pride del 2025.

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Sono passati pochi giorni dallo strepitoso Roma Pride dell’8 giugno, con 700.000 persone in strada, e per celebrare quello straordinario evento vergognosamente quasi taciuto da tutta la stampa cartacea nazionale, abbiamo intervistato Sebastiano Secci, Presidente del Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli nonché portavoce del Roma Pride.

Esclusi il World Pride e l’Euro Pride, sabato abbiamo forse assistito al Roma Pride più partecipato di sempre. Quanta e quale soddisfazione, ma soprattutto quanta fatica, lavoro, organizzazione, nel dare vita ad un simile evento.

La soddisfazione è tanta, arrivare a piazza Venezia, chiudere lo striscione, salire sul carro e vedere la gente che arriva fin oltre il Colosseo sono davvero momenti speciali.
Questo è un risultato possibile innanzitutto perché la Parata è una grande manifestazione politica che costituisce l’esito di un percorso fatto dalle realtà del coordinamento Roma Pride.
È un risultato possibile, inoltre, grazie alle tantissime e tantissimi volontari del Mieli e del Roma Pride che lavorano per mesi per far andare avanti l’incredibile macchina organizzativa, con tutte le difficoltà dell’organizzare una manifestazione a Roma, una delle città più belle ma più complicate del nostro Paese.

Dinanzi ad un estremismo politico sempre più battente e inquietante, la comunità LGBT parrebbe essere diventata l’ultima vera forma di ‘resistenza’ su strada. Come siamo arrivati a questa conquista, che fino a pochi anni fa pareva onestamente inimmaginabile?

Credo che ancora una volta sia il frutto di un percorso politico di apertura che il Coordinamento Roma Pride ha effettuato negli ultimi anni. La lotta che la nostra comunità porta in piazza il giorno del Pride è inevitabilmente intrecciata alla lotta del movimento transfemminista, delle lavoratrici e lavoratori, delle e degli studenti, delle persone con disabilità, delle persone che lasciano il loro Paese e di chiunque lotti ogni giorno per costruire una società migliore. La resistenza diventa vincente se fatta tutte e tutti insieme, ce l’hanno insegnato le partigiane e i partigiani che, ancora una volta, erano in piazza con noi sabato per ricordare i 75 anni dalla liberazione di Roma. Siamo dalla parte giusta della storia e insieme possiamo liberare questo Paese.

Anche quest’anno, per il 3° anno consecutivo, la sindaca Virginia Raggi ha mancato l’appuntamento Roma Pride, per ‘impegni precedentemente presi’. Peccato che la data del Pride romano venga puntualmente annunciata con un anno d’anticipo. Per provare a convincerla a non mancare anche nel 2020, per farle capire che se sta a perde, cosa le diresti?

Francamente non sento di dover convincere la Sindaca a partecipare al Pride. Lei rappresenta tutta la città di Roma e quest’anno, mentre 700.000 persone si trovavano in piazza, a qualche centinaio di metri dal Campidoglio per chiedere di vivere in una società veramente antirazzista, antifascista e laica, ha deciso di recarsi in Vaticano dal Papa. Immagino e spero che questa scelta sia frutto di sue valutazioni, noi faremo le nostre. Ricordo anche che, a fronte di una richiesta alla Sindaca depositata due anni fa in Comune, è servita una mozione della minoranza del PD perché Roma Capitale prendesse una posizione ufficiale sulla candidatura della città ad ospitare nel 2025 il World Pride, presentata dal Mieli nel 2017. La lotta della comunità Lgbt+ è una lotta di visibilità, noi mettiamo la faccia tutti i giorni a lavoro, nelle piazze, nelle associazioni, nelle scuole. Pretendiamo che chi rappresenta le nostre istituzioni sia visibile nell’esplicitare il sostegno alle nostre lotte, non è sufficiente mettere un bollino al sicuro delle stanza del proprio ufficio per sostenere le battaglie di un Pride.

Non solo festa e celebrazione di un evento storico, avvenuto 50 anni or sono a New York, davanti allo Stonewall INN. Il Pride è anche rivendicazione, soprattutto in un Paese come questo dove tutti noi siamo di fatto ancora cittadini di serie B. Come tramutare questa straordinaria partecipazione in grimaldello politico?

La sfida del Movimento Lgbt+ italiano è proprio questa. La stagione dei Pride porta in piazza centinaia di migliaia di persone, che hanno delle richieste precise sulle quali è dovere tenere del movimento tenere alta l’attenzione anche nei mesi successivi. A rischio di sembrare un disco rotto, credo che il nostro movimento debba e possa riuscire a farlo solo se fa rete con altri spaccati della società civile, senza paura di perdere la propria identità o la peculiarità delle proprie rivendicazioni.

Nel 2025 Roma sogna di tornare ad ospitare il World Pride, 25 anni dopo la prima storica edizione. Quante possibilità ci sono che la Città Eterna possa tornare Capitale del mondo, almeno per un giorno, e quali ‘sfidanti’ dovremo superare, per riabbracciare l’evento.

Le possibilità al momento sono molto buone. La candidatura funziona un po’ come la candidatura ad ospitare le Olimpiadi, solo che a decidere è l’assemblea di Interpride, l’organizzazione che racchiude i Pride di tutto il mondo. La decisione verrà presa molto probabilmente nel 2021 e, al momento, l’unica altra candidatura presente è quella di Orlando che nel 2026 vorrebbe celebrare con il World Pride i 10 anni dalla strage di Orlando. Poiché non possono essere organizzati due World Pride in due anni consecutivi, verrà chiesto all’assemblea di scegliere fra Roma 2025 e Orlando 2026. La situazione però in due anni potrebbe cambiare, potrebbe crescere il numero delle città candidate. La candidatura di Roma è forte perché significherebbe riportare il World Pride qui, dove nacque nel 2000. È incredibile quanto ogni volta che ci incontriamo con le amiche e gli amici di Interpride venga ricordato con affetto e nostalgia il lavoro delle socie e dei soci del Mieli in quell’occasione. Anche alle celebrazioni più importanti dell’ultimo World Pride, tenuto a Madrid nel 2017, si è più volte ricordato il lavoro del Mieli e delle realtà italiane in quell’occasione. Credo che lavorando tutte e tutti insieme si possa ripetere la magia del 2000 e riportare a casa il World Pride nel 2025.

Questo Roma Pride è stato anche il 25esimo Pride capitolino, perché nel 1994 la comunità LGBT romana scese per la prima volta in strada. Negli ultimi giorni Arcigay Roma ha diffuso una ricostruzione congressuale dell’epoca, dimenticandosi di includere il Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli dalla genesi e organizzazione di quel Pride. Vogliamo puntualizzare, rendendo il giusto omaggio a chi 25 anni fa battagliò per rendere possibile ciò che sembrava impossibile?

Non è una ricostruzione ma un abbaglio di giovani che all’epoca non c’erano e hanno anche travisato qualche racconto ereditato. Del resto, quando guardi la storia da lontano e ne racconti comunque una tua versione è quasi inevitabile prendere qualche abbaglio. Sia chiaro, nemmeno io c’ero nel ‘94 ma sono in un’associazione e in una città in cui vivono attivamente tutte e tutti i protagonisti di quella giornata da pionieri, quindi non c’è alcuno spazio per le favole. C’è invece una memoria potente diffusa, anche in chi semplicemente era presente in quel corteo e non è un militante storico, e di questa si nutre la storia. Questo è accaduto nel 1994 come nelle altre fondamentali tappe della storia dei Pride del nostro Paese. È importantissimo ricordare che nella Capitale nel 1994, come in altre date successive ovvero Worldpride, del 2000, Pride nazionale del 2007 o Europride del 2011, affianco agli ideatori e organizzatori del Mieli, c’erano convinte e presenti nei fatti le altre realtà lgbt+ italiane, in primis Arcigay. Tutte erano consapevoli della necessità di costruire forti Pride unitari di rilevanza nazionale. Trovo un po’ curioso che alla vigilia di questo grandissimo Pride si sia speso del tempo per mandare comunicati stampa e appiccicare etichette a momenti storici. Le associazioni, storiche o giovani, piccole o grandi, capillari o locali, non possono essere il fine della nostra lotta politica ma semplicemente strumenti per portare a casa dei risultati favolosi e sabato, tutte e tutti insieme, abbiamo portato in piazza 700.000 storie di orgoglio. Un risultato favoloso che dovremo essere capaci di capitalizzare e di raccontare a chi verrà dopo di noi.

Roma Pride, ci si rivede il 6 giugno 2020.

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