Il governo turco torna all’attacco della comunità LGBTQ+, questa volta scagliandosi contro quella che, sulla scia delle posizioni russe, viene chiamata “propaganda” LGBT. Le dichiarazioni, questa volta, sono del ministro dell’Interno Süleyman Soylu, rilasciate nella giornata di sabato 12 novembre durante un raduno dell’AKP, il Partito Giustizia e Sviluppo che attualmente governa la Turchia settentrionale.
Le dichiarazioni di Soylu sono, come è facile immaginare, a dir poco agghiaccianti. Rivolgendosi ai membri del partito, il ministro ha definito la comunità LGBTQ+ un’organizzazione terroristica di propaganda, rifacendosi alle altrettanto sconcertanti dichiarazioni del Presidente Erdogan della scorsa settimana in cui sosteneva che l’elemento LGBT presente nella società turca fosse un pericolo per la famiglia tradizionale.
Soylu ha iniziato il suo discorso parlando di “terrorismo culturale”, inserendolo in un’ottica anti-occidentale e anti-europeista : «C’è il terrorismo culturale. La propaganda di un’organizzazione terroristica, che cerca di far dimenticare i propri valori, la propria religione, l’unità, l’amore dei genitori e la lealtà familiare. È esattamente la politica europea, esattamente la politica americana di divide et impera». Una posizione curiosa, dato che sin dagli anni Ottanta la Turchia cerca di entrare nell’Unione europea, con Ankara candidata per l’adesione dal 1999 e le trattative aperte dal 2005. Proprio lo scorso marzo Erdogan era tornato a chiedere veementemente a Bruxelles di tornare a trattare sulla questione, ma alcune politiche del governo turco sono il deterrente che finora non ha permesso il successo dell’operazione.
Il ministro dell’Interno ha poi continuato: «Cosa accadrà? Porteranno l’LGBT in Turchia. Gli uomini sposeranno gli uomini, le donne sposeranno le donne. Si adatta perfettamente a Kılıçdaroğlu (il principale leader dell’opposizione, ndr). Che peccato. Manca di tutti i valori. Stanno cercando di creare una politica basata su una comprensione che altererà quasi tutti i nostri valori in modo che possano conquistare il cuore degli europei e dell’Occidente».
Le politiche conservatrici e sovraniste di Erdogan, negli anni, hanno progressivamente penalizzato la comunità LGBTQ+, alimentando il clima di odio e discriminazione a cui è sottoposta da parte della società. D’altronde, quando anche le cariche governative si riferiscono alle persone queer come “pervertiti” e “depravati”, la popolazione di conseguenza si sente legittimata a fare lo stesso.
Le testimonianze della comunità LGBTQ+ turca parlano di un Paese in cui è sempre più difficile vivere, considerando anche la mancanza di protezione, diritti e, più recentemente, il divieto di esprimersi. L’AKP, il principale partito in Turchia dal 2001 che conta ben tre legislature alla guida del paese dal 2022 ad oggi, è diventato particolarmente accanito dopo le proteste guidate dall’oppositore Gezi Park nel 2013 e il tentativo di colpo di stato contro l’elezione di Erdogan nel 2016. Da allora, le parate per il Pride sono tassativamente vietate a Istanbul e nelle principali città turche.
Divieto di manifestazione che vale solo per la comunità LGBTQ+ e non per chi la vorrebbe eliminata, visto che lo scorso settembre proprio a Istanbul si è tenuta la più grande protesta anti-LGBT mai registrata in Turchia chiedendo al Parlamento l’introduzione di una legge contro la propaganda LGBTQ+.
Lo scorso anno, quattro studenti dell’università di Istanbul che protestavano le politiche di Erdogan sono stati arrestati per “incitamento all’odio”. Ironia della sorte, in quell’occasione proprio il ministro dell’Interno Soylu aveva annunciato l’arresto con un tweet che poco dopo è stato prontamente bannato da Twitter, flaggato come “incitamento all’odio”.
Sempre nel marzo 2021, infine, il Presidente aveva addirittura abbandonato la Convenzione di Istanbul – storica Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza sulle donne e alla violenza domestica – perché a suo dire promuoveva l’omosessualità, riconfermando il clima sempre più ostile che minaccia la comunità LGBTQ+ in Turchia.
© Riproduzione Riservata