Chemsex: “vietare e nascondere fa solo danni”. L’intervista

Intervista a Giulio Maria Corbelli, attivista di Plus Onlus, su chemsex e omicidio a Roma

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Giulio Maria Corbelli, oltre ad essere stato direttore dei contenuti di Gay.it nei primi anni 2000, è attualmente Vice Presidente di Plus Onlus, un’vicenda romana .

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Dall’intervista al ragazzo che conobbe uno dei presunti omicidi, pare possibile che l’assassinio del ragazzo 23enne sia maturato proprio in un festino a base di alcool e droga, quello che comunemente si chiama chem-sex e che è quello su cui state lavorando come associazione. Siete gli unici che vi occupate di queste cose in Italia, nel mondo gay?

Credo proprio di sì. Non mi pare che altri se ne stiano occupando, nè Arcigay nè il Mario Mieli.

In che modo come associazione ve ne state occupando?

Abbiamo lanciato un sondaggioper capire quanto vasto sia il fenomeno in Italia. Lo chiuderemo il 20 marzo e lo presenteremo all’European Chem Sex Forum di aprile. Abbiamo già ricevuto duecento risposte, segno che il tema è presente nella nostra comunità. Poi, basta parlare con un gruppo di amici e ci si rende subito conto che il problema esiste, del resto. Non è ancora venuto fuori all’interno della comunità italiana e soprattutto nel mondo dell’HIV, perché c’è spesso correlazione tra chemsex e HIV e malattie sessualmente trasmesse: tutte le esperienze europee in tal senso, a partire da quella capostipite della clinica Dean Street a Londra, ci insegnano che questa pratica sta diventando uno dei principali network delle malattie a trasmissione sessuale e dell’HIV in particolare, ovviamente nella comunità gay: si parla di network molto chiusi ma non molto “circoscritti”, di persone che si vedono tutte tra di loro, con una possibilità di trasmettere quindi il virus con grande facilità purtroppo.

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Sull’entità del fenomeno voi non avete dati?

Li stiamo raccogliendo in questi giorni, per l’appunto. Le duecento risposte già raccolte ci dicono però che il fenomeno sia presente eccome.

Che giudizio dai della vicenda romana?

La vicenda romana è abnorme e ben al di fuori di quello che solitamente accade in queste situazioni. L’uso di droghe nel sesso è frequente nella comunità gay: la questione da porsi è quindi come farlo nel modo più sicuro possibile. Non facciamo passare l’idea che tutti quelli che fanno chemsex siano potenziali assassini.

Chemsex: "vietare e nascondere fa solo danni". L'intervista - chemsex 1 - Gay.it

Dal punto di vista della prevenzione cosa si fa all’estero che non si fa in Italia?

La questione fondamentale è fare dei test molto frequenti, perchè chemsex e salute sessuale sono connesse. La clinica di Londra che è all’avanguardia su questo: Dean Street offre il test per l’HIV gratuitamente ed in modo anonimo ma contemporaneamente ha anche un servizio di counselling sull’uso delle sostanze, con un programma di accompagnamento per coloro che vogliono sperimentare il distacco dalle droghe, con l’obiettivo di far recuperare il piacere del sesso senza sballo, dando obiettivi di qualche settimana o mesi, accompagnando le persone in questo percorso. La possibilità di avere un gruppo che ti sostiene in questo percorso è fondamentale perché nella maggior parte dei casi parliamo di comportamenti che cercano di sopperire ad una mancanza di relazioni sociali. E’ quello che stiamo cercando di fare col nostro Check-point a Bologna, un centro che non sia sanitario ma che offra anche questo tipo di servizi, senza pregiudizi, offrendo consigli per affrontare eventuali problemi relazionali che stanno dietro a questi comportamenti, lontano da atteggiamenti proibizionisti e da falsi moralismi, ma con un approccio reale di riduzione del danno.

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Come comunità siamo pronti a parlare di questi argomenti, se non quando “costretti” dalla cronaca nera come in questo caso?

La comunità non è pronta a parlare di questo, tant’è che non si parla neppure dell’alto consumo di droghe che eppure c’è ed è forte. Lo stigma che c’è su questi temi tra gli eterosessuali è evidente quanto sia presente nella nostra stessa comunità. Manca del tutto la consapevolezza: basta andare in uno di quei party per capire quanto sia alto il consumo e quanto sia bassa o inesistente la consapevolezza. In quei luoghi mai ho visto un opuscolo che informa su cosa vuol dire prendere delle sostanze oppure un manifesto che richiama l’attenzione sul tema: forse, tutt’al più, troverai un manifesto che vieta l’uso di sostanze e che è completamente ignorato. Vietare e nascondere sono queste le cose che non dobbiamo fare perché così non si aiuta le persone a gestire in modo opportuno questi comportamenti ed anzi si fa danni: lo dovremo sapere innanzitutto noi gay che abbiamo nascosto per secoli la nostra omosessualità “vietata”, dalle norme o dalla società. Informare è un dovere assoluto. Per tutti: singoli, gestori dei locali, associazioni.

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