Il dramma di essere sieropositivi oggi in Egitto

Il Ministero della Salute egiziano insiste nel far pagare grandi somme di denaro ai pazienti per la spedizione dei farmaci che dovrebbero essere ricevuti gratuitamente.

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“Quando ho scoperto di essere sieropositivo, ero terrorizzato. Pensavo che sarei morto. Pensavo di suicidarmi per rendere accelerare la mia morte. Non serve dire come mi sono preso il virus. Nessuno ha il diritto di chiedermelo. Ho l’HIV e questo basta”: Chehab (nome di fantasia ndr) ha raccontato alla piattaforma indipendente Raseef22 la sua esperienza.

“Convivo col virus da due anni. Gli stereotipi sui sieropositivi mi fanno ridere. Le persone pensano che siamo tutti molto magri, agonizzanti. Io non ho sintomi visibili e non rappresento un pericolo per nessuno. Non mi vedrai piangere e non mi sentirai parlarti di quanto io sia pentito, né andare in giro a dare consigli alla gente su Dio e cose simili. Sto bene, sono felice, la mia vita è molto normale. E mi piace ascoltare le canzoni di Mohammed Mounir”. Chehab ha spiegato che il problema principale in Egitto non è tanto con il virus in sé, quanto piuttosto l’atteggiamento delle persone e il fatto che il governo insiste nel fargli pagare grandi somme di denaro per la spedizione dei farmaci che lui riceve gratuitamente ogni tre mesi.

Il Ministero della Salute egiziano fornisce gratuitamente i farmaci. I pazienti sieropositivi egiziani li ricevono attraverso vari fornitori del Cairo e delle altre province. Chehab evita però di andare al ministero, dove gli chiederebbero la carta di identità. Preferisce mantenere la sua privacy. Lì potrebbe incontrare qualcuno che conosce, e questo per lui rappresenta un incubo: “C’è un vero e proprio stigma e ignoranza assoluta sul virus. Per me è un segreto e non voglio che nessuno lo sappia”.

Chehab è andato allora da un medico privato che gli ha consigliato di rivolgersi a un ente benefico americano, chiamato Aid for AIDS International. L’ente fornisce farmaci gratuitamente e c’è molta differenza tra i farmaci forniti dal Ministero e quelli dell’ente benefico. Essenzialmente l’ente americano offre più tipologie di farmaci e questo permette di personalizzare la cura sulla base della tolleranza e dello stato clinico del paziente. Inoltre sono più farmaci più nuovi, che permettono l’assunzione di una sola pillola al giorno.

Chehab ha contattato allora l’ente benefico: l’organizzazione, dopo i controllo del caso, ha accettato di inviargli tre confezioni di Stribild, uno degli ultimi farmaci nati, ogni tre mesi gratuitamente, Chehab avrebbe solo dovuto pagare le spese di spedizione.

Il problema è che dopo poco Chehab si è reso conto che il Ministero della Salute egiziano aveva creato una tassa sui medicinali su ogni trattamento farmacologico proveniente dall’estero. La tassa può arrivare fino a 100 dollari per ogni spedizione, una tassa che viene applicata direttamente sulle consegne e che quindi è obbligatorio pagare se si vuole ritirare il pacco. C’è chi, a causa di questo provvedimento, ha smesso di ritirare il suo pacco. Il problema è che smettere di prendere i farmaci – e poi eventualmente riprendere – per un sieropositivo vuol dire mettere a repentaglio la propria vita.

Il dottor Amro Jawhar è uno specialista in malattie a trasmissione sessuale e aiuta molte persone sieropositive egiziane. La sua clinica per molti è una specie di ancora di salvezza. Raseef22 ha accompagnato Chehab nel suo tentativo di risolvere la questione dei farmaci con il Ministero della Salute, così da poter ricevere i suoi pacchi dall’ente americano. Lui e tutte le persone nella sua situazione sperano infatti che il Ministero torni sui suoi passi e abolisca la tassa, ritenendola ingiusta. Raseef22 ha contattato il dottor Walid Kamal, direttore del programma nazionale per la lotta contro HIV e AIDS. Il dottor Kamal ha promesso che si impegnerà per far valere i diritti dei pazienti sieropositivi. Al momento il problema non è ancora stato risolto.

Raseef22 riferisce anche la storia di un ragazzo siriano sieropositivo che vive in Egitto. Amin, 28 anni, ha raccontato: “Vivo in Egitto da un anno, ho l’HIV sin da quando stavo in Siria, ma lì non avevo iniziato le cure perché il mio sistema immunitario è forte”. Una volta arrivato in Egitto però successivi test hanno mostrato la necessità di iniziare le cure: “Non so cosa fare per ottenere le cure, qua in Egitto. Ho sentito che per le leggi egiziane, uno straniero con l’HIV deve essere espatriato. Ho paura a rivolgermi al Ministero della Salute”. Il dottor Safwat, direttore dei laboratori del Ministero, ha confermato quanto raccontato dal giovane siriano: “se uno straniero risulta positivo al test dell’HIV, noi contattiamo le autorità che provvedo a espatriarlo, affinché il virus non si diffonda nel Paese”.

Per offrire sostegno medico al ragazzo è stato necessario rivolgersi alle organizzazioni umanitarie, in particolare all’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), che si occupa anche di fornire assistenza medica ai rifugiati, in modo anonimo.

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