Il 2019 non è stato solo l’anniversario dei 50 anni dai Moti di Stonewall. Sono stati anche i 40 anni dal primo pride in Italia, avvenuto a Pisa il 24 novembre 1979. E sono stati i 25 anni dal primo pride del Giappone. Ben 25 anni di lotte (anche se non tutti gli anni l’evento è stato organizzato), per un gran e potente Paese, che però ancora non si occupa della comunità LGBT+ come dovrebbe. Le discriminazioni e le violenze sono poche, ma dal punto di vista legislativo, non ci sono leggi per tutelarsi, così come due persone dello stesso sesso non hanno la possibilità di unirsi o di sposarsi.
L’ultimo Tokyo Pride Festival ha visto la presenza di 180.000 persone, più altre 10.000 che hanno fisicamente partecipato alla sfilata. Migliaia di bandiere arcobaleno hanno sventolato sopra il cielo di Tokyo e di altre città per tutto il giorno, in una giornata interamente dedicata alla comunità LGBT+.
La prima parata del Rainbow Pride di Tokyo è avvenuta il 28 agosto 1994. Erano 1.000 coraggiosi attivisti. Marciarono da Shinjuku Central Park al Miyashita Park di Shibuya (ora chiuso). Una marcia significativa, che chiedeva maggiori diritti allo Stato, ma meno colorata e vivace di quella che si è vista quest’anno, a 25 anni di distanza. Tra l’altro, tra gli anni ’90 e i primi anni del nuovo millennio, Tokyo non ha organizzato alcuna parata. Le ragioni, nonostante l’assenza di leggi inclusive, non erano affatto discriminatorie: in una città da 12 milioni di abitanti, “qualche migliaio” non era abbastanza per approvare una marcia.
La paura della comunità a dichiararsi in Giappone
Come già detto, le discriminazioni sono poche in Giappone, ma tutt’altra cosa è nell’ambiente di lavoro. Molti preferiscono non uscire allo scoperto, per evitare di essere presi in giro dai colleghi e per il sempre presente spettro degli stereotipi, ancora molto forte nel Paese. Insomma, nascondersi è più facile che dichiararsi. Una situazione simile la passano anche le donne dopo una gravidanza. Anche se tornano al lavoro, non è più trattata allo stesso modo. Solo a Tokyo c’è una legge in merito.
Oltre all’impossibilità di sposarsi, unirsi e adottare, non esistono leggi a livello nazionale contro le discriminazioni sul luogo di lavoro. Non esiste nemmeno la possibilità di fare un ricorso legale quando ci si trovi ad affrontare discriminazione nell’ambito della scuola, dell’assistenza sanitaria, nel settore bancario (aprire un conto corrente o un mutuo) o per affittare o acquistare una casa. Ci sono stati solo pochi passi in avanti, ma sembra sia solamente un “tentativo” di adeguarsi, in vista delle Olimpiadi di Tokyo previste per il 2020.
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