Vessata sul posto di lavoro perché omosessuale, Sara Silvestrini, 40enne di Lugo, ha vinto la battaglia in tribunale contro coloro che l’hanno derisa e umiliata solo e soltanto in quanto lesbica.
Il Tribunale di Ravenna ha condannato LIDL di Massa Lombarda e il suo caporeparto, il procuratore speciale della ditta, i coordinatori regionali dell’amministrazione e della logistica, con l’accusa di averla a lungo insultata, sin dal giorno della sua assunzione, obbligandola a lunghi periodi di lavoro notturno e a compiti squalificanti, offendendola in pubblico, con tanto vessazioni extralavorative, vedi intrusioni costanti nella sua vita privata e richieste di natura sessuale. A costituirsi come parte civile anche la compagna della donna, Federica Chiarentini, a suo dire danneggiata di riflesso dai problemi di salute avuti da Sara, con cui fa coppia da 8 anni.
“Ogni volta che iniziavo il turno notturno voleva che lo chiamassi al telefono per farmi il resoconto della nottata precedente e non perdeva occasione per insultarmi e offendermi“, ha ricordato Sara ad EmiliaRomagnaMamma in riferimento al suo superiore. “Mentre accumulavo ansie su ansie, prese a darmi la colpa quando dicevo che certi camionisti avevano brutti modi di fare, aggressivi. La responsabilità, a detta sua, era mia che non ero gentile e accomodante, che ero acida. Che con i camionisti dovevo essere in un certo modo, che non poteva essere lui a dirmi come fare ma che avevo capito perfettamente cosa intendeva. Però, se qualche volta alcuni camionisti mi molestavano la colpa era comunque mia, perché a suo dire davo troppa confidenza”. Una volta il caporeparto le disse che era “una diarrea sul bancone dell’uscita merci”, “come un malato di tumore, che tutti si accorgono che è malata tranne lei stessa”.
Iniziano anche le aggressioni fisiche: “Una volta mi ha strattonata per la camicia, un’altra volta mi è venuto volontariamente addosso muletto contro muletto, e altre volte mi ‘schiacciava’ contro la parete mentre mi parlava”. “Ho dovuto assumere alcuni farmaci per riuscire a rientrare al lavoro dopo un periodo di assenza, e ho iniziato anche a essere seguita da una psicoterapeuta. Di lì a poco, il 28 luglio del 2015, sono stata licenziata in seguito all’ennesima lettera di richiamo!.
Secondo quanto riportato da LaRepubblica, il tribunale ha sancito che quelle vessazioni a lungo portate avanti le hanno provocato un “disturbo post traumatico da stress cronico reattivo a una condizione lavorativa che può essere inquadrata nelle molestie morali protratte”. Disturbi che medici specialisti hanno valutato come malattia professionale.
Il giudice Tommaso Paone ha condannato a 3 mesi il caporeparto, Emanuel Dante, 43enne di Conselice; multa di 500 euro invece per i coimputati, Pietro Rocchi, 52enne di Riolo Terme, Claudio Amatori, 56enne di Rimini, ed Emiliano Brunetti, 42enne di Ferrara. A riportarlo il Corriere della Romagna.
I responsabili sono stati accusati di lesioni personali. La donna ha ottenuto una provvisionale di 30mila euro, ma i legali chiedono una cifra tra i 70mila e i 100mila euro. L’ammontare definitivo del risarcimento sarà ora stabilito in sede civile.
“Mi porto ancora dietro, a livello psicologico, le ripercussioni di come sono stata trattata“, ha confessato Sara ad EmiliaRomagnaMamma . “Non posso dire con certezza che la mia omosessualità c’entri qualcosa. Una volta sentii il caporeparto chiedere in mia presenza a un camionista se avesse preferito avere un figlio gay o interista, stupendosi negativamente dinanzi al fatto che avrebbe preferito un figlio omosessuale. Certamente, chiedere di essere più ‘carina e disponibile”‘con i camionisti quando sapeva che sono lesbica, mi è molto pesato. Ma questo, in quanto donna, mi avrebbe infastidito a prescindere dalla mia omosessualità. Fatto sta che sono stata denigrata, offesa, minacciata. E vorrei avere giustizia, sperando che questo possa essere d’aiuto a chiunque subisca angherie pesanti e umilianti sul posto di lavoro”.
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