Nell’articolo di oggi dedicato ai libri LGBTQ+ di recente pubblicazione, Stone Fruit di Lee Lai (Coconino Press-Fandango, 2021) è quella che definirei come una bella sferzata di novità e freschezza. Anche per me rappresenta una deviazione rispetto ai libri di cui parlo di solito perché si tratta di un graphic novel, un genere che ha meno visibilità rispetto alla narrativa ma che proprio riguardo alle questioni LGBTQ+ ha sempre offerto molto.
La recentissima pubblicazione di Stone Fruit ha portato anche in Italia il talento di un’autrice che si presenta come un’autentica rivelazione. Nella narrazione a fumetti Lee Lai è già un nome che sta conquistando contratti di edizione e traduzioni in tutto il mondo; in Italia, l’edizione targata Coconino Press-Fandango è uscita da pochissimi giorni con la traduzione di Alice Amico e l’introduzione di Jonathan Bazzi, finalista al Premio Strega 2020.
Il Libro
Le protagoniste di Stone Fruit sono due giovani donne, Ray e Bron, una coppia queer navigata ma che sta attraversando un momento di difficoltà. Le loro storie e le loro famiglie di origine sono diverse, ma si incontrano in almeno un punto: l’ostilità nei confronti dell’identità sessuale delle due ragazze. Tra le due, Bron è la più fragile: non solo la sua famiglia le ha praticamente voltato le spalle, ma una serie di problemi molto personali minaccia costantemente di trascinarla verso il fondo. Ultimamente, l’unica luce che Bron vede nelle sue giornate è quella di Nessie, la nipotina di Ray. Nessie è una bambina vivace e piena di immaginazione che stravede per le sue zie queer e che ha trovato in Bron la compagna di giochi ideale. L’intesa fra le due è sempre stata naturale, istintiva, immediata, così, quando la madre di Nessie, Amanda, decide di mettersi di traverso in quel rapporto (più per gelosia materna che per pregiudizio, va comunque detto), Bron si sente come prosciugata. In tutto questo Ray fa del suo meglio per armonizzare la situazione, offrendo sostegno alla compagna e zittendo la sorella quando serve, eppure tutto ciò potrebbe non bastare.
Stone Fruit è un’opera sorprendente che riesce a condensare in poche pagine grandi temi. Orientamento sessuale, identità di genere, accettazione di sé e il confronto/scontro con gli altri, sono i problemi su cui Ray e Bron hanno forgiato le loro personalità e che Lee Lai riesce a raccontare con una semplicità e un’immediatezza disarmanti. Certe emozioni, certi imbarazzi, certi non detti un graphic novel come Stone Fruit ha la capacità di renderli ancora più vividi di un romanzo. Il linguaggio, necessariamente più scarno e conciso, è come una freccia acuminatissima che si conficca al centro del bersaglio. Ogni parola risuona a lungo nella vastità della pagina e produce un effetto che, a torto, quasi si dimentica di aspettarsi da un fumetto: quello di far riflettere. E anche di emozionare.
Famiglie
Tutto il variegato mondo LGBTQ+ può considerarsi egregiamente rappresentato in Stone Fruit, un’opera che scalza pregiudizi e preconcetti anche molto resistenti, come ad esempio quello che vedrebbe contrapposti – almeno in certe menti particolarmente retrograde – coppie arcobaleno ed educazione dei bambini. Ciò che Lee Lai mostra nel suo libro attraverso il rapporto speciale tra la piccola Nessie e le due zie queer è l’esatto rovescio di questa mentalità. Una mentalità che, nella sua vera veste di costrutto sociale e culturale, ha pochissimi corrispettivi con la realtà delle cose, i cui limiti e confini angusti – messi lì a protezione di ciò che a molti fa ancora comodo chiamare “verità” o “certezza” – vengono facilmente smascherati e contraddetti dalla forza prorompente delle emozioni.
Stone Fruit è un piccolo trattato di emotività familiare. Ciò che si osserva e si legge nelle sue pagine è il ritratto di una realtà sommersa che grazie a libri come questo sta lentamente uscendo allo scoperto. La realtà delle famiglie LGBTQ+ (le quali scompaiono all’indomani del matrimonio del quale la stampa di provincia ha magari parlato per qualche giorno), la loro vita quotidiana fatta di sogni e amarezze, di prospettive e vicoli ciechi è poco conosciuta, poco raccontata. In genere ci si concentra su altro: su quello che offre la cronaca o che sbraita la politica, oppure ci si rilassa nella comfort zone generosamente offerta dai soliti evergreen. Come ho scritto altre volte, è il momento di compiere un passo avanti nel modo in cui la comunità LGBTQ+ è solita raccontarsi quando impugna la penna. Oltre i soliti modelli, ci sono distese vergini a perdita d’occhio che aspettano di essere narrate, e un’opera come Stone Fruit mostra che esiste la possibilità di farlo, che non c’è nessun’altra rivoluzione da compiere se non l’approfondimento di quella che è stata messa in moto 52 Stonewall fa. Infine ci ricorda che è sufficiente spostare anche di poco il baricentro per ritrovarsi dove non ci si aspetterebbe. Perché, artisticamente parlando, l’inedito e il nuovo sono molto spesso come l’aneddoto della tela rovesciata di Kandinskij: uno sguardo casuale su un oggetto che ci eravamo dimenticati sottosopra.
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