Abbiamo intervistato l’autore del gioco di ruolo italiano sui moti di Stonewall

Stonewall 1969 - Una storia di guerra è un gioco di ruolo da tavolo italiano ambientato prima e durante i moti di Stonewall. Ne abbiamo parlato con il suo autore, Stefano Burchi.

Stefano Burchi, autore del gioco di ruolo Stonewall 1969 - Una storia di guerra
6 min. di lettura

Stonewall 1969 – Una storia di guerra è un gioco di ruolo da tavolo (come il celebre Dungeons & Dragons, a cui però assomiglia ben poco) ambientato prima e dopo i moti di Stonewall, un momento fondante per la comunità LGBTQ+. La notte del 28 giugno 1969 le persone che si trovavano nel bar gay (ma all’epoca il termine “gay” raccoglieva tutto lo spettro LGBTQ+) Stonewall Inn di New York risposero a un’irruzione della polizia iniziando giorni di scontri che vengono annualmente celebrati in tutto il mondo con le marce del Pride. Per capire come (e perché) un gioco possa raccontare l’esperienza di quelle persone abbiamo contattato l’autore di Stonewall 1969 – Una storia di guerra, Stefano Burchi. L’intervista, condotta su Skype, è stata editata e accorciata perché sia l’intervistatore sia Burchi sono dei chiacchieroni.

Ciao Stefano, intanto presentati ai lettori di Gay.it.

Io sono Stefano Burchi, nella vita sono un tecnico informatico, lavoro come impiegato in una azienda di servizi. Nel tempo libero sono un giocatore, un appassionato e un creatore di giochi di ruolo. Mi riconosco nel manifesto di Mammut RPG: i giochi vanno provati, smontati e rimontati, ricostruiti e alterati e penso che il gioco ci dia l’opportunità di crescere, di conoscerci meglio e di connetterci gli uni con gli altri.

Come è nato Stonewall 1969 – Una storia di guerra?

Ho cominciato a lavorarci nel 2015. C’era un concorso internazionale chiamato Game Chef: ti danno un tempo limitato, un tema e degli ingredienti e devi mettere insieme un prototipo più o meno funzionante di gioco. Decisi di partecipare, poi il periodo si rivelò non proprio propizio per me e la bozza del gioco rimase solo sul mio computer; quella bozza è diventata Stonewall 1969 – Una storia di guerra.

E da lì come si è evoluto?

Del prototipo iniziale non è rimasto francamente nulla, se non un paio di personaggi. Inizialmente volevo parlare di una storia di coming out, ma mi sono reso conto che era una storia ritagliata su un’esperienza specifica e molto simile alla mia, e mi sembrava che si potesse fare qualcosa di più. Mi sono ricordato di una partita fatta a un altro gioco, che si chiama Montsegur 1244 [sull’assedio crociato all’ultimo avamposto dell’eresia catara], e ho capito che si poteva parlare di una storia di coming out più potente della storia di un singolo individuo: la storia che ha portato in qualche modo il movimento di liberazione omosessuale a diventare quello che è. Ho tenuto la struttura di base di Montsegur 1244 (un prologo, una sere di atti e un epilogo), un cast fisso di personaggi e una forte premessa iniziale, ma ho rivisto le dinamiche che guidano la narrazione emergente [cioè che nasce dall’azione di chi gioca] di Montsegur 1244 per ottenere la storia che mi interessava. Come in Montsegur 1244 si racconta la storia di un assedio: in Montsegur 1244 è un assedio vero e proprio, in Stonewall 1969 – Una storia di guerra l’assedio è metaforico, è un assedio sociale. Lo Stonewall non diventa la rocca di Montségur, ma diventa il simbolo dell’essere costretti a vivere nell’ombra, a vivere assediati, a vivere cercando di scivolare in mezzo a regole pensate per cancellarti.

Come funziona Stonewall 1969 – Una storia di guerra?

In teoria potrebbe essere giocato anche aprendo il manuale e provandolo mentre si legge per la prima volta. Ma, visti i temi e le situazioni, almeno una persona dovrebbe aver letto e capito il manuale, diventando il “facilitatore” del gioco. Che non è il “Dungeon Master” di Dungeons & Dragons [cioè Stonewall 1969 – Una storia di guerra non ha un vero e proprio arbitro che organizza e conduce il gioco], ma è chi mette gli altri nelle condizioni di giocare e si prende qualche responsabilità aggiuntiva. All’inizio tutte le persone leggono una piccola lettera che chiarisce cosa stiamo giocando, perché lo giochiamo, quale è lo scopo e quale è l’impegno richiesto. Poi vengono selezionati i personaggi: ognuno deve scegliersi un “personaggio principale” e ogni personaggio ha una scheda rappresentata come un faldone della polizia con un’immagine, una descrizione, una lista di domande a cui rispondere e una serie di personaggi che non possono essere interpretati come “personaggi secondari” da chi ha scelto quel personaggio come suo protagonista [quando necessario, questi personaggi dovranno quindi essere giocati da altre persone presenti al tavolo]. A questo punto si passa a un manualetto che ti guida atto per atto dicendoti cosa devi fare, come e perché. Nel prologo sta scoppiando la rivolta e vediamo cosa sta succedendo ai personaggi, a quel punto parte un flashback e inizia il primo atto, che ci racconta i personaggi prima che conoscessero Stonewall e prima che la loro non conformità di genere o sessuale diventasse un problema. Nel secondo atto arriviamo alla parte centrale del gioco, dove esploriamo chi sono i personaggi e quali sono le loro relazioni sia fuori sia dentro lo Stonewall. Nel terzo atto vediamo cosa voglia dire essere queer in una società che non accetta l’essere queer e nelle scene ambientate dentro Stonewall ci sono i raid della polizia, che interrompono ciò che sta accadendo e ciò che i personaggi stavano costruendo. Nel quarto atto arriva la rivolta vera e propria, si riprende da dove il gioco era iniziato e da quello che si era visto nel prologo. È una scena veloce che mostra ciò che successe quella notte. Il quinto atto esplora i giorni successivi alla prima notte di rivolta, si raccolgono le conseguenze, si vede a che punto sono i personaggi. E infine c’è l’epilogo, diviso in due parti: un piccolo monologo in cui il personaggio si prende il tempo di parlare con il se stesso del primo atto, prima di Stonewall, per rispondere alla domanda “cosa diresti al te stesso di allora?” e poi un epilogo vero e proprio. All’inizio del gioco tutti i personaggi vengono presentati come “malati,” perché siamo nel 1969 ed essere queer significava essere malato,  fuori legge, peccatore, voleva dire essere esclusi dalla società, dalla legge, dalla medicina e dalla morale. Arrivati all’epilogo abbiamo tre possibili conclusioni: “sono guarito,” “sto guarendo” e “sono malato.” Naturalmente, questi personaggi non erano davvero malati, ma questo è il modo in cui vengono visti, e “guarire” vuol dire allora capire che non sei tu il problema, vuol dire non sentirsi più malato.

Perché hai deciso di parlare dei moti di Stonewall?

La ragione più semplice è che Stonewall, al di là di quello che rappresenta oggi per la comunità LGBT, è una storia universale. È la storia dell’esperienza umana dell’oppressione, di eroi che vengono dal basso, persone comuni che a un certo punto non hanno scelta e devono lottare per la loro sopravvivenza, per quello che sono. È una storia fin troppo attuale, basta vedere quello che sta succedendo in USA. Stonewall 1969 – Una storia di guerra è una storia corale, con personaggi che cercano di raccontare diversi aspetti dello spettro LGBT, perché raccontare Stonewall vuol dire raccontare la storia di molte persone diverse, che subivano oppressioni diverse sotto profili diversi. Ed è stato questo mix di situazioni a rendere Stonewall il mito che è diventato. Perché oggi quella che vive è la Stonewall del mito, che ha elementi della Stonewall storica ma è anche altro. Non mi interessa raccontare la Storia ma i suoi temi, le situazioni, le dinamiche, l’elemento umano che ci ha portati a quello che anche oggi è attuale e che col Pride dovremmo celebrare.

Come si crea un cast così vario e anche lontano dalla propria esperienza personale?

Non è facile. Ho cercato di studiare, ho letto molto. Mi sono affidato soprattutto al saggio Stonewall: The Riots That Sparked the Gay Revolution di David Carter e al documentario Stonewall Uprising. Ho cercato testimonianze di prima mano, ho cercato di documentarmi sulle esperienze dello spettro LGBT che non sono la mia, in particolare mi sono documentato molto sullo spettro trans. Poi ho cominciato a confrontarmi con altre persone, anche provando con loro il gioco.

Ed è possibile interpretare correttamente personaggi così diversi da noi e immedesimarci in loro?

Esiste una dinamica comune a tutti i giochi di ruolo, chiamata “bleed,” che permette al gruppo e al giocatore di condividere emozioni con i loro personaggi. A quel punto non importa se l’esperienza che metti in gioco non è esattamente identica a quella che vive una persona per esempio bisessuale: importa che tu giochi quel personaggio come se fosse una persona vera. Non metterai in scena un’esperienza “da manuale” ma qualcosa che in qualche modo ti appartiene. E non importa se, in buona fede, ci stai mettendo dentro degli stereotipi: quando giochi un personaggio in maniera onesta, cercando di rispondere alle domande che il gioco ti pone, la realtà di quel personaggio ti arriva. Non è che lo stereotipo svanisce, ma ti accorgi che dietro a quello stereotipo c’è una persona vera, ed è una cosa che manda in tilt chi è abituato a vedere certe realtà solo in modo stereotipato. Non è un’esperienza che ti cambia la vita, ma ti fai domande che non ti eri mai posto.

Perché il Pride è importante?

È la celebrazione di un momento molto importante, di una guerra. Ed è importante che la gente ci vada nuda, in drag, che tiri fuori quello che vuole far vedere, perché senza queste cose sarebbe come celebrare il 25 aprile senza i partigiani. La gente non capisce, o non vuole capire a causa del suo pregiudizio, ma a volte se ce la butti in mezzo il pregiudizio passa. Col gioco non mi rivolgo a chi non vuole ascoltare (il gioco è per definizione un’esperienza volontaria) mi rivolgo però a quegli alleati che a volte non capiscono perché dovrebbero stare zitti un attimo. Dovrebbero stare zitti non perché non mi fa piacere che parlino, ma perché potrebbero lasciar parlare qualcuno che vive quella esperienza.

Potete seguire Stonewall 1969 – Una storia di guerra, che sarà finanziato tramite crowdunfing, sul sito internet e la pagina Facebook del suo editore Asterisco Edizioni.

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