Il racconto di Fiyaz Mughal, che ha conosciuto Khalid e gli ha chiesto di condividere la sua terribile esperienza della terapia riparativa a cui ha dovuto sottoporsi. Il fondatore di Faith Matters e Muslims Against Antisemitism ha riportato quindi il senso di colpa del ragazzo 28enne, la vergogna che gli faceva provare la famiglia che non lo accettava, e i momenti tragici di quanto l’astinenza sessuale si faceva sentire.
Khalid, mussulmano, dopo il coming out con la famiglia, è stato portato da un santone, che loro chiamano Pir (sant’uomo, appunto). Questo non è altro che uomo di mezza età, senza alcuna conoscenza reale, convinto di poter convertire una persona omosessuale con una terapia riparativa fatta di preghiere e acqua santa.
La terapia riparativa di Khalid
Khalid racconta che per la famiglia era un vero dramma. Se si fosse saputo, avrebbe messo in ridicolo l’intera famiglia. Un figlio gay era inaccettabile. Per questo, la madre lo costringe ad andare da questo Pir, che accoglieva i propri pazienti in un vero e proprio studio, con tanto di sala d’attesa.
Arrivato il suo turno, Khalid si trova davanti quest’uomo, mentre la madre assisteva in silenzio. L’esorcismo, come lo definisce il ragazzo, è composto di preghiere islamiche, incenso e soffi sulla testa. Infine, una spruzzata di acqua santa. Con questa prima seduta, la terapia riparativa avrebbe già dovuto fare effetto, ma solo con l’impegno di Khalid.
Ora, il 28enne avrebbe dovuto praticare l’astinenza. Non poteva masturbarsi, doveva reprimere il desiderio quando vedeva un ragazzo, e se non riusciva a controllarsi, sarebbe dovuto tornare immediatamente dal ciarlatano.
Sensi di colpa, dolore autoinflitto, paura
L’obiettivo della terapia riparativa era quello di far sentire anormale la persona. Un ragazzo gay non è normale, va contro Dio, quindi deve fare di tutto per reprimere il desiderio di avere rapporti con una persona dello stesso sesso. Altrimenti, la pena sarà la dannazione eterna.
Per l’astinenza, si infliggeva dolore, si prendeva a pugni, fino a quando non è più resistito e ha incontrato un uomo, con cui ha fatto sesso. La liberazione, dopo sei mesi, è stata grande, ma dopo è iniziato un nuovo dramma, per le convinzioni che la terapia riparativa gli aveva messo nel cervello. Stava andando contro il disegno divino, prendere una malattia sessuale sarebbe stata la sua punizione.
Il fallimento delle terapie
Ci sono voluto decenni a Khalid per capire che essere omosessuale non è una malattia, che non ci sono punizioni divine per questo.
Ad alcuni, come abbiamo già visto in passato, è andata peggio. Si parla di terapie di conversione che prevedono stupri, elettroshock, botte. Ma c’è un punto in comune: convincere la persona che quanto si sta facendo è un male. Queste pratiche, considerate torture, portano disagi emotivi, paure e depressione, in alcuni casi anche il suicidio.