Sesso, droga e spin doctor. Le agende di telegiornali, siti e quotidiani sono dominate in questi giorni dall’affaire Luca Morisi, ex braccio destro di Matteo Salvini, guru della sua comunicazione. L’incontro con due escort romeni, corredato dall’uso di sostanze stupefacenti, sta facendo inevitabilmente parlare dell’uomo, che ha scolpito l’immagine del leader della Lega a colpi di campagne contro “i nemici della patria”.
Se infatti il caso risulta di scarsa rilevanza per chi si occupa strettamente di cronaca, non è possibile sottovalutare la portata politica della vicenda, che vede al centro del dibattito colui che ha tracciato per anni la mitologia del Capitano, tra dirette Facebook e proclami su Twitter, determinandone l’ascesa sui social. Di fronte alle prime avvisaglie di cedimento del sistema della Lega, che dai sondaggi sembra perdere terreno a favore di Fratelli d’Italia, la caduta della cosiddetta Bestia. Che qualcuno, complici i nuovi bisogni comunicativi e i rinnovati timori dettati dalla pandemia, dava già da qualche tempo per spacciata.
Luca Morisi, da alcuni descritto come il manutentore per eccellenza della principale gogna mediatica italiana, finisce così lui stesso in prima pagina, e non per i suoi traguardi professionali. L’ineluttabilità della legge dantesca del contrappasso, che prevede come pena infernale per il comunicatore un animato alternarsi di editoriali e pezzi critici di giornalisti, non sulla sua etica, ma sulla sua deontologia.
La doppia morale del guru
Possibile anche solo pensare di affrontare un caso simile dalle fila del celhodurismo? Non se lo chiede nemmeno Luca Paladini, fondatore dei Sentinelli di Milano, che in un post su Facebook evidenzia in modo laconico i controsensi e le ipocrisie dello scandalo:
Mi era sfuggita la storia dei ventenni rumeni conosciuti online e invitati ai suoi “festini”. Certo che sembrerebbe non mancare proprio nulla. La droga, il sesso omosessuale, gli immigrati. Praticamente tutto l’immaginario contro il quale si scagliava in pubblico, era presente e condiviso nel suo privato. Negli Stati Uniti ci potrebbero fare dei libri da quanti oltranzisti della morale repubblicani vengono beccati a fare di notte quello che combattono di giorno. Che vita di merda però. Mettersi una maschera addosso perché così fai carriera, e ritagliarti briciole di te stesso quando pensi che nessuno ti veda.
Emerge prepotentemente il tema principe della discussione, che parte dall’esperienza di Morisi, ma di fatto tocca anche quelli fra commentatori e politici che manifestano a parole un’eccessiva forma di garantismo. È il doppio standard, che nel caso degli ex compagni dell’esperto di comunicazione si traduce come doppia morale, mentre in alcuni critici si definisce come un richiamo a una maggiore tutela, pur con la consapevolezza della scarsa indulgenza nei metodi del guru. Scrive Antonio Polito sulle colonne del Corriere della Sera:
Quelli che occhio per occhio, dente per dente, dietro la rivelazione dei presunti peccati di Luca Morisi (attenzione, non sappiamo neanche ancora se si tratta di reati), non sono poi così diversi dalla Bestia. Il metodo del moralismo è infatti sempre lo stesso. E consiste nell’esibizione in pubblico dei vizi altrui, nell’uso politico della vergogna, nel tentativo di provocare non riprovazione, ma disgusto per l’avversario. La chiave del moralismo sta nell’isolare il peccatore e separarlo dallo spettatore. […] La conseguenza politica del moralismo, che lo rende tanto più pernicioso quando è utilizzato dagli uomini con responsabilità pubbliche, è l’impotenza che ne deriva, l’impossibilità di cambiare davvero le cose che inevitabilmente produce, perché evita e anzi condanna ogni riflessione sulle cause vere e profonde dei mali sociali, limitandosi a gettare fango su chi ha sbagliato.
“La Bestia siamo noi“, sintetizza Nicola Mirenzi su Huffington Post, che allarga dal particolare al generale, senza privare all’intera comunità politica attiva le responsabilità del successo discusso delle tecniche allestite da Morisi. Altro giro, altra corsa, sulla giostra dell’indignazione che dura il tempo di una Storia su Instagram:
La Bestia, non quella che ha inventato Luca Morisi, la Bestia che ogni giorno alimentiamo noi, la Bestia di cui ciascuno di noi è come un dente di un’enorme bocca, ieri, oggi, ha azzannato Morisi, originale organizzatore della meccanica sentimentale che governa il mondo digitale: quella macchina che ogni giorno reclama una preda da sbranare, un giorno è Barbara Palombelli, l’altro giorno è il candidato di Calenda con l’Audemars Piguet, oggi è lui.
Di tutt’altro avviso Matteo Pascoletti, voce della Valigia Blu, che non dimentico delle performance senza scrupoli degli anni passati, nota il desiderio da parte della stampa di sottrarsi a certe logiche di riflessione. Per non essere come lui, in poche parole, si finisce quasi per essere peggio:
Spaccio di odio tagliato con emoji, foto di piatti e selfie. Spaccio di odio incurante delle vittime collaterali, date in pasto alla foga dei consumatori: avversari politici, giornalisti, intellettuali, comuni cittadini, persino minori. E, attorno a questo spettacolo indecoroso, i convegni, gli articoli e i libri a indicarci il tutto come un modello, come una capacità tecnica da inquadrare senza essere obnubilati da troppa ideologia o moralismi. […] Se dal punto di vista del diritto concediamo com’è doveroso che sia la presunzione di innocenza, dal punto di vista politico il giudizio è stato espresso da molto tempo.
Le vittime del sistema e le questioni di sesso
Conosce bene gli effetti del pubblico ludibrio Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, picchiato a morte da alcuni agenti di polizia dopo essere stato arrestato per spaccio. “Ci ha sbranato facendo leva sui sentimenti più bassi e biechi che può provare il genere umano, ma non odio nessuno“, ha commentato la donna sulle colonne de La Stampa, ricordando gli attacchi a lei e relativi alla storia del fratello subiti nel corso degli anni. Che anche quel “la droga fa male”, come risposta alla sentenza della Corte di Assise di Roma, sia stato il frutto di Morisi? A rileggere alcuni tweet del passato, invecchiati abbastanza male, c’è da pensarlo.
Orchestrata dallo spin doctor è stata la pratica di esposizione di una ragazza, che risponde al nome di Giulia Viola Pacilli, finita per due volte con i suoi messaggi e il suo volto sulle pagine social di Matteo Salvini, ricevendo hating spietato per settimane. Nell’editoriale realizzato per Domani c’è tutto il godimento di chi ha creduto fino in fondo ai rovesciamenti del destino:
Vorrei essere così matura. Ma se penso alla faccia di Morisi oggi, costretto a leggere ovunque di sé informazioni sensibili, frasi false, vicende personali, mi viene in mente un’unica parola: karma
E se Silvio Berlusconi e la prima pagina de Il Fatto Quotidiano di oggi calcano la mano sull’orientamento sessuale di Morisi – il primo rivelando che il solo difetto dell’uomo sia quello di essere omosessuale, il secondo riducendo la prima crisi di Matteo Salvini all’effetto di un inedito “Gay Pride” leghista -, ci ha pensato Michele Masneri su Il Foglio a mettere un piedi un illuminante articolo, che unisce il fatto di cronaca alla storia del partito. Oggi diviso in correnti, ma che rinnega sé stesso sin dalla sua fondazione, dando prova di essere meno sbiadito e nebbioso di quanto appari. Al passo coi grandi film di Hollywood, dalle trame ricche di colpi di scena.
Chiudi che entra la corrente Mykonos #lega #morisi #thebeast pic.twitter.com/Od6v8MprmN
— Michele Masneri (@michimas) September 29, 2021
© Riproduzione Riservata