“Zan Zendegi Azadi”, “Donna, vita, libertà”. Il grido, e il motto, della rivoluzione che sta avvenendo in Iran ha risuonato anche sul palco dell’Ariston nella seconda serata del Festival di Sanremo. In uno dei punti più alti e toccanti, finora, del Festival, la lotta delle donne iraniane contro l’oppressione del regime islamico si è inserita nella settimana sanremese in un appello dovuto e accorato a non dimenticare ciò che sta accadendo, e accade da decenni, nel Paese.
“Per il sorgere del sole dopo lunghe notti. Per la libertà.”
A #Sanremo2023 @pegahmoshir e @Drusilla_Foer. pic.twitter.com/8r76a2qYnq— RaiPlay (@RaiPlay) February 8, 2023
È tornata sul palco di Sanremo, con la sua classe ed eleganza, Drusilla Foer, ad affiancare la protagonista di questo sentito monologo che ha toccato tuttə. Drusilla tiene per mano Pegah Moshir Pour, attivista italiana di origini iraniane, che si è assunta l’arduo compito di riassumere in poco tempo il dramma e la lotta delle donne dell’Iran. La 31enne, arrivata in Italia quando aveva 9 anni, dallo scorso settembre è in prima linea per divulgare contenuti che raccontano quanto sta accadendo in Iran.
Da quando, il 16 settembre 2022, Mahsa Jina Amini è stata uccisa dalla polizia morale, l’Iran sta vivendo una vera e propria rivoluzione, forse la più grande che abbia mai visto. Ma la morte della giovane, accusata di non indossare correttamente il velo, è solo il culmine di un regime che da decenni, dopo la Rivoluzione islamica, esercita oppressione e violenze contro le donne, la comunità LGBTQIA+, le minoranze e chiunque non sia allineato al suo pensiero. Un regime dittatoriale che, come ci ha raccontato l’attivista Masih Alinejad nella nostra intervista, mina e limita le libertà umane.
«Mi chiamo Pegah Moshir Pour Italiana di origine Iraniana, nata tra i racconti del «Libro dei Re», cresciuta tra i versi de «La Divina Commedia». Consulente e Attivista dei diritti umani e digitali. In Iran non sarei potuta essere così vestita e truccata e non avrei potuto parlare di diritti umani da un palcoscenico. Perché sarei stata arresta o forse addirittura uccisa. E per questo, come molte ragazze e ragazzi del mio paese, ho deciso che la paura non ci fa più paura e di dare voce ad una generazione cresciuta sotto un regime di terrore e di repressione, in uno dei paesi più belli al mondo, uno scrigno dei Patrimoni dell’Umanità»
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Inizia così il discorso di Pegah, che mette il pubblico dell’Ariston di fronte alla realtà a cui le donne iraniane sono sottoposte. Il sipario alle sue spalle mostra le immagini della rivoluzione e quando la melodia di Baraye – la canzone di Shervin Hajipour vincitrice del Grammy per il cambiamento sociale realizzata con i tweet delle proteste – inizia a suonare, Drusilla compare al suo fianco. Mentre le due si tengono per mano, la rivoluzione iraniana diventa intersezionale perché, come ci ha detto anche Masih, la lotta non riguarda solo le donne iraniane, “riguarda tutti noi”. Drusilla e Pegah, allora, raccontano in un crescendo di pathos ed emozione i tanti modi in cui il regime esercita la sua violenza oppressiva:
«Drusilla: Per poter ballare per strada.
Pegah: In Iran si rischiano fino a 10 anni di prigione se si balla per strada o si ascolta musica occidentale.
Drusilla: Per paura di baciarsi.
Pegah: In Iran è proibito baciarsi e stare mano nella mano con la persona che ami. Drusilla: Per mia sorella, tua sorella e le nostre sorelle.
Pegah: In Iran si paga con la vita il desiderio di esprimere la propria femminilità.
Drusilla: Per l’imbarazzo e la vergogna.
Pegah: Più di 20 milioni di persone vivono sotto la soglia di povertà, senza soldi per mangiare.
Drusilla: Per i bambini che perdono i loro sogni.
Pegah: Sono moltissimi i bambini sfruttati, che chiedono l’elemosina e vivono raccogliendo i rifiuti.
Drusilla: Per i cani innocenti proibiti.
Pegah: Il regime uccide i cani sia di proprietà che di strada.
Drusilla: Per queste lacrime e questo pianto ininterrotto. Per questo paradiso forzato. Per gli intellettuali imprigionati.
Pegah: nella prigione di Evin ci sono più di diciottomila tra intellettuali, dissidenti e prigionieri politici che spariscono nel silenzio.
Drusilla: Per i bambini rifugiati afghani.
Pegah: In Iran ci sono più di 1 milione di profughi afgani, perseguitati senza possibilità di ricostruirsi una vita.
Drusilla: Per sentire il senso di pace. Per il sorgere del sole dopo lunghe notti. Per la ragazza che desiderava essere un ragazzo.
Pegah: In Iran essere omosessuali è punito con l’impiccagione.
Drusilla: Per donna, vita, libertà.
Pegah: Zan Zendegi Azadi, le parole chiave della rivoluzione.
Insieme: Per la libertà. Per la libertà. Per la libertà. Per la libertà»
Non c’è distinzione tra gli oppressi, perché le vittime sono tutte uguali di fronte alle crudeltà del regime islamico. Drusilla e Pegah lasciano l’Ariston con il fiato sospeso, dopo un monologo forse tra i più importanti che abbiamo ascoltato, rilanciando la voglia di reagire e di lottare per ciò che è giusto. Poi, alla fine, il gesto simbolo della rivoluzione, che in tanti video abbiamo visto e che descrive meglio di mille parole la voglia di libertà delle donne iraniane, con cui tutto è iniziato: Pegah si scioglie la coda e libera i capelli. Il regime è sconfitto.
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