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«Mi è piaciuta molto la domanda sulla comunità LGBTQ+», mi dice Masih (@masih.alinejad) dopo la nostra intervista, «perché questa lotta non riguarda solo me e le donne iraniane, riguarda tutti noi». Giornalista e attivista iraniana, Masih Alinejad è la donna che più fa paura alla Repubblica islamica in Iran. Con le sue parole, il suo programma su YouTube e le migliaia di video che le donne iraniane le inviano ogni giorno, smentisce la propaganda del regime e lotta contro l’oppressione di quelle donne, contro l’obbligo dell’hijab e l’estremismo dell’islamismo. La sua storia è raccontata nel bel documentario ‘Be My Voice‘ di Nahid Persson, che potete ancora vedere nelle sale italiane.
- Masih ci parla delle false notizie che giungono in Occidente. Convinti che quella sia la cultura nazionale e che in realtà le donne scelgono di indossare l’hijab, non abbiamo in realtà idea su fino a che punto i loro diritti vengono realmente negati: «Nessuno parla della guerra tra il governo e le donne iraniane. Subito dopo la Rivoluzione la Repubblica islamica ha invaso l’Iran. Milioni di donne e di persone sono ostaggi. Io ero una di loro. La nostra vita quotidiana è una guerra tra due stili di vita». Dopo la rivoluzione del 1979 le leggi della Shari’a hanno piegato la popolazione iraniana e Masih è decisa a farlo comprendere, soprattutto al nostro “politicamente corretto”.
«È un insulto a un’intera nazione quando si considerano delle leggi barbariche come parte della “vostra cultura”. Quando si legittimizzano queste leggi barbariche, si dà più potere ai nostri oppressori»
- Nemmeno la corrente riformista, di cui Masih stessa ha fatto parte, ha portato i cambiamenti sperati. Non quando all’estero il Presidente riformista stringe la mano a una donna ma poi lo nega in patria, non quando lo stesso Presidente afferma che essere gay è una malattia che va curata con l’esecuzione. Quindi le persone hanno perso la fiducia nei riformisti. «Ora crediamo nel nostro potere. Non pensiamo che il cambiamento verrà dai politici», ci racconta con orgoglio.
- «Sono passati 42 anni. Lascia che ti dica i risultati delle riforme in Iran: come donna non posso andare allo stadio, non posso usare la bicicletta, non posso cantare. Non posso essere me stessa. Se voglio essere una donna libera, mi vedono come una criminale». Le cosiddette riforme attuate nel Paese dal 1979 ad oggi sono state mirate a limitare la libertà delle donne e a controllarle. Forse è vero, alcune scelgono di indossare l’hijab, ma cosa succede a coloro che si oppongono? La risposta, in molti casi, è la morte. Quando va bene, la prigione.
«Non ho paura di quelli che mi chiamano islamofobica: come donna che è cresciuta sotto le leggi della Shari’a, ho il diritto di avere paura dell’islamismo»
- Masih ci spiega anche che nella natura della Repubblica islamica c’è la violenza, tra ostaggi e omicidi. Abbiamo ancora in mente le poche immagini che trapelavano dai giorni di protesta nel 2019. Poche perché il Paese non aveva l’accesso a Internet. Anche per questo Masih lancia continuamente appelli alle aziende tecnologiche per bloccare gli account dei dittatori: Khamenei, sì, ma anche Putin. E loro? «Vengo bombardata da video di madri che hanno perso i loro figli durante le proteste in Iran. Internet è stato bloccato per tre giorni e il governo ha ucciso 1500 persone, ma gli assassini hanno account verificati sui social media».
- E quando le chiedo della comunità LGBTQ+ in Iran, Masih si lascia scappare un sorriso amaro. L’oppressione colpisce tutti, a meno che non si tratti di uomini etero allineati con il pensiero del regime: «Quando si tratta della comunità LGBT, dei diritti delle persone gay, riformisti e conservatori sono insieme. Devono essere cacciati». L’omosessualità è ancora illegale in Iran, e punibile con la pena di morte. E finché non cambierà la classe governante, nemmeno queste leggi potranno cambiare.
Masih Alinejad inneggia a una rivoluzione contro l’islamismo affinché anche l’Iran possa diventare una democrazia. E crede fermamente che questa rivoluzione possa venire dal popolo. In fondo, il movimento che è iniziato con il suo attivismo lo dimostra. Tutto ciò che chiede, è che l’Occidente si affianchi nel modo giusto a questa lotta, diventando la voce delle persone iraniane che lottano ogni giorno. Ascoltare le sue parole, è un ottimo modo per iniziare.
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