Nuovo Olimpo, l’amore assoluto oltre tempo e spazio di Ferzan Ozpetek. Recensione

Una storia d'amore lunga 4 decenni per il regista di Mine Vaganti, mai stato tanto carnale e sessualmente esplicito come in questo caso. E allo stesso tempo imperfetto.

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C’è davvero molto di Ferzan Ozpetek in Nuovo Olimpo, 14esimo film del regista, il primo per Netflix, presentato in anteprima mondiale alla Festa del Cinema di Roma e dal 1 novembre in streaming in tutto il mondo. Come sempre scritto insieme a Gianni Romoli, Nuovo Olimpo prende il titolo da un immaginario cinema d’essai della Roma degli anni ’70, popolato soprattutto da omosessuali che tra una sigaretta e l’altra nel corridoio adiacente alla sala fanno sesso in bagno. Un battuage dall’odore di celluloide che vede nascere un amore assoluto, strabordante, per i diretti interessati purtroppo vissuto appieno solo per una notte, poche ore per innamorarsi e non ritrovarsi più.

Nuovo Olimpo attraversa 4 decenni, a partire dalla fine degli anni ‘70 al 2015. Al centro della trama due giovani venticinquenni, interpretati da Damiano Gavino e Andrea Di Luigi, qui al suo debutto, che si incontrano per caso, innamorandosi perdutamente l’uno dell’altro, per poi perdersi e cercarsi per i successivi 30 anni. È il film più almodovariano di Ozpetek, Nuovo Olimpo, che si fa metacinema sin dalla primissima scena con un cameo di Jasmine Trinca, perché il giovane protagonista, Elia, studia cinematografia e sogna di fare il regista. Pietro, che vive nelle Marche e si trova a Roma solo per accompagnare la mamma in ospedale, studia invece medicina. Il primo è sicuro di sè, disinibito, consapevolmente bisessuale, che se la spassa nei bagni del cinema con il primo che capita per poi tornare a casa e fare sesso con la migliore amica, alla quale non nasconde mai nulla. L’altro è invece timido, impacciato, spaventato da quel luogo di totale disinibizione, frenato dal timore di una passione mai realmente vissuta. Quella nei confronti di un altro ragazzo. Ma quando troverà il coraggio di viverla ed abbracciarla, nulla sarà più come prima.

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Alla soglia dei 65 anni Ozpetek ha girato il suo film più autobiografico, carnale e sessualmente esplicito, ricco di passione e desiderio. Mai si era esposto tanto nell’esprimere l’amore fisico tra due uomini, con Gavino e Di Luigi a lungo avvinghiati l’uno all’altro in quell’unica notte passata insieme, a godersi, a sfamarsi. Entrambi gli attori si mostrano nudi, letteralmente, con due full frontal di rara produzione nazionale e un barattolo di marmellata ad impreziosire la passione, a tratti cringe nel riempimento di bocche mai sazie e goderecce.

La prima ora di Nuovo Olimpo, che nasce da un episodio realmente vissuto dal regista quando 17enne arrivò a Roma per studiare cinema, strizza l’occhio a Weekend di Andrew Haigh, con questi due sconosciuti in grado di perdere la testa l’uno per l’altro dopo aver passato insieme poche ore, due giorni appena. Poi subentra il dramma tipico del cinema ozpetekiano che vira verso il melò spinto, ampliando lo sguardo ad un mondo parallelo di comprimari che entrano nelle vite dei due protagonisti senza mai soddisfare quella dolorosa mancanza che entrambi si trascinano dietro per decenni.

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Ed è qui che lo script firmato da Ozpetek e Romoli, mai così tanto dichiaratamente e orgogliosamente cinefilo, prende strade narrativamente parlando ambigue e discutibili, con un’ultima involontariamente esilarante mezz’ora che parrebbe farsi non voluto omaggio a Gli occhi del Cuore di borisiana memoria, con un Elia che si tramuta in regista affermato e un Pietro in un altrettanto affermato chirurgo. Il primo si innamora di un ex pallanuotista laureato in ingegneria che sforna torte, mentre l’altro si sposa con una donna per decenni in attesa di uno sguardo d’amore mai giunto a destinazione. Diventati entrambi sfacciatamente ricchi, alimentando ulteriormente il cliché dell’omosessuale borghese tipico del cinema di Ozpetek con case da mille e una notte e terrazze romane con vista sui Fori imperiali da far impallidire Jep Gambardella, Pietro ed Elia inevitabilmente invecchiano, per buona pace dei poveri truccatori costretti a trasformare due poco più che 20enni, Gavino e Di Luigi, in due 60enni, senza mai essere del tutto realmente credibili.

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Nel mezzo Ferzan gioca con tempo, memoria e spazio sulle note di canzoni indimenticabili che spaziano da Mina a Ornella Vanoni, portando il suo cinema dei sentimenti verso strade inaspettatamente erotiche e sensitive, tra occhi impossibilitati a vedere e narici in grado di scoprire taciute verità e riportare a galla ricordi mai del tutto archiviati. Se l’alchimia tra Gavino e Di Luigi è tangibile, a stonare pesantemente è Alvise Rigo, ex rugbista qui al suo esordio in qualità di attore. Tronco di muscoli e peli, l’ex concorrente di Ballando con le Stelle non va al di là della sua stazza e della sua beltà, con la più che telefonata nonché richiesta scena di nudo a soddisfare una presenza facilmente dimenticabile, recitativamente parlando evitabile e probabilmente mai più replicabile. Perché checché se ne dica non ci si inventa attori dal giorno alla notte.

Se molti, troppi dialoghi suonano come artificiosi, quasi teatrali e sicuramente poco concretamente reali, Ozeptek e Romoli hanno come al loro solito sapientemente scritto splendidi personaggi femminili. Luisa Ranieri è esilarante, commovente, semplicemente sublime negli abiti di una cassiera del cinema, sboccata e strabordante, chiaro omaggio a Mina da parte del regista, con tracce di malinconia a renderla ancor più unica. Una donna mai sola ma volutamente solitaria, che passa ore al telefono con un’amica probabilmente immaginaria, che sognava di diventare showgirl per poi ritrovarsi alla cassa di un cinema frequentato quasi esclusivamente da omosessuali, da tutti corteggiata e puntualmente finita tra le braccia del più stronzo di tutti. Ranieri, che aveva già dimostrato con Paolo Sorrentino di essere una grande attrice, punta ora a quel più che meritato David di Donatello come miglior attrice non protagonista sfuggitole con È stata la mano di Dio che andrebbe ad ampliare l’infinita lista di attrici premiate grazie ad Ozpetek, tra David e Nastri. Margherita Buy con Le Fate Ignoranti, Giovanna Mezzogiorno con La Finestra di Fronte, Barbora Bobuľová con Cuore Sacro, Ambra Angiolini con Saturno Contro, Ilaria Occhini, Elena Sofia Ricci e Lunetta Savino per Mine Vaganti, Kasia Smutniak per Allacciate le Cinture e Jasmine Trinca per La Dea Fortuna. Ranieri, qui alla sua terza presenza in un film di Ozpetek dopo Allacciate le Cinture e Napoli Velata, sarà quasi certamente l’ultima gemma di una collezione da far invidia, con Ferzan che in Nuovo Olimpo omaggia e plaude più e più volte la più grande di tutte, ovvero Anna Magnani, Bellissima Mamma Roma scomparsa 50 anni or sono.

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Perché in questi ultimi 25 anni pochi altri registi italiani hanno saputo scrivere personaggi femminili come Romoli e Ozpetek, qui inoltre riuscito a costruire Alice, donna forte ed emancipata interpretata dalla brava Aurora Giovinazzo, e Giulia, donna innamorata, coraggiosa e consapevole come quella interpretata da Greta Scarano. “Il passato più è lontano e più sembra bello“, sottolinea malinconicamente Ferzan, che affida ad Elia una sua celebre risposta in conferenza stampa. “Perché metto sempre l’omosessualità nei miei film?”. “Sono gli altri a toglierla“, rispose ad un giornalista Ozpetek, che ad Alice concede un’altra battuta dai molteplici eventuali significati: “Più siete froci e più diventate fascisti“, a voler quasi polemizzare con una comunità LGBTQIA+ spesso accusata di essere troppo chiusa e poco incline a tutte quelle critiche che il più delle volte abbracciano odio e discriminazione.

Dopo 4 anni d’attesa Ferzan è così tornato a raccontarsi e a raccontare un amore assoluto in grado di andare oltre spazio e tempo, casualmente vissuto da due uomini che si sono fortuitamente trovati, irrimediabilmente innamorati, drammaticamente persi e consapevolmente mai più dimenticati. Ma Nuovo Olimpo, lungometraggio dalle grandi potenzialità che sarebbe potuto essere anche un grande film, rimane profondamente imperfetto.

 

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Nelle immagini: il regista Ferzan Ozpetek e i due protagonisti Damiano Gavino (sinistra) e Andrea Di Luigi (destra)
Credits: Foto di Virginia Bettoja / Netflix

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