Le militanti di Arcilesbica si scontrano sulla GPA in vista dei Pride

Arcilesbica Nazionale e i comitati territoriali non si ritrovano sulla GPA: alcuni partecipano ai Pride e altri no, cosa sta accadendo?

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3 min. di lettura

Ci sono misteri che si spiegano con la fede o con la ricerca scientifica; ce ne sono altri inspiegabili. Uno di questi è la parabola di Arcilesbica degli ultimi anni. Associazione attenta alle tematiche LGBT in relazione al percorso femminista e alla figura della donna lesbica, negli ultimi anni ha vissuto nell’ombra, per rilanciarsi oggi in una nuova veste.

Da qualche giorno Arcilesbica Nazionale ha lanciato, tramite la presidentessa Roberta Vannucci, un comunicato rivolto a chi parteciperà ai Pride di quest’anno dall’innocuo titolo Utero in affitto: ai Pride si eviti la propaganda e si promuova un vero confronto. Oltre alla firma della Vannucci, spiccano quelle di Marina Terragni, femminista della differenza già agli onori della cronaca per gli attacchi incondizionati alla comunità LGBTI; Aurelio Mancuso, ex presidente nazionale di Arcigay, poi reinventatosi nel PD e fondatore di Equality Italia, associazione per lo più virtuale che difficilmente trovereste sul territorio; e poi Francesca Marinaro, Francesca Izzo, Fabrizia Giuliani, Annamaria Riviello, Serena Sapegno, Rita Cavallari, Antonella Crescenzi, Licia Conte, Donatina Persichetti, Simonetta Robiony, Sara Ventronie, che si sono distinte nella battaglia contro il famigerato “utero in affitto”. Nel comunicato, in sostanza, si presta il fianco ai detrattori della GPA.

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Su questi temi abbiamo scritto negli articoli Nuovo attacco alle famiglie arcobaleno dalle femministe contrarie alla GPA e Per la femminista Luisa Muraro gli omosessuali maschi sono l’essenza del patriarcato, e non tratteremo la tematica, nello specifico, della GPA in questo luogo. Quella che vorremmo analizzare è la frattura interna ad Arcilesbica e il rischio della sua disgregazione. Una frattura che riverbera anche all’esterno, dove Arcilesbica sta uscendo lentamente e a macchia di leopardo dalle realtà LGBTI locali: esempio ne è l’attuale assenza di Arcilesbica dal Coordinamento Arcobaleno di Milano, entità che progetta il Pride della capitale lombarda, e la sua non adesione allo stesso.

Nei giorni successivi alla diffusione del comunicato, ho provato a contattare i comitati territoriali di Arcilesbica. Tra tutti, ho ricevuto risposta solo da due, mentre dalla casella email del comitato di Padova arriva un lapidario “il circolo, non riuscendo a rinnovare la segreteria, ha cessato le sue attività” e da quello di Firenze un messaggio che la posta non viene letta da tempo. Il contatto, invece, con Arcilesbica Bologna ha fruttato un appuntamento a data da destinarsi. Sintomi, questi, che potrebbero far presagire un tumulto in atto all’interno di Arcilesbica.

La prima realtà a dare una risposta al comunicato di Arcilsbica Nazionale (o forse solo a nome della presidentessa) è Omphalos, associazione aderente ad Arcigay, Arcilesbica e ad Arci. Con un documento precedente, l’Omphalos si dichiara favorevole alla regolamentazione della GPA in Italia e in Europa, basandosi sul principio di autodeterminazione dei corpi e delle donne. Dunque, in netto contrasto con la posizione della presidentessa Roberta Vannucci. A pochi giorni di distanza, arriva anche la posizione di Arcilesbica Roma, apertamente critica con la posizione nazionale: “Pur convivendo nel nostro circolo opinioni differenti sul tema, siamo concordi nell’affermare che esiste, nel pieno rispetto della dignità delle singole persone, la possibilità di realizzare un progetto genitoriale senza che questo diventi oggetto di strumentalizzazioni – si legge dalla pagina Facebook  Crediamo fortemente nell’autodeterminazione della donna, che può esprimersi anche nella scelta di contribuire alla nascita di una nuova famiglia”.

Cosa sta accadendo, dunque, a una delle sigle storiche delle lotte LGBTI del nostro paese? A quella realtà che ha saputo coniugare le istanze femministe e le rivendicazioni LGBTI, che ha portato avanti per anni l’idea di famiglia omogenitoriale (o arcobaleno, come la chiameremmo ora)? Staremo a vedere, auspicando che si possa ritornare a poter condividere le lotte all’interno del movimento LGBTI, nel rispetto dell’autodeterminazine delle persone, della libertà dei corpi e del contrasto allo sfruttamento.

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DIz 31.5.17 - 9:43

Scusate, ma nell'articolo si da per scontato che in Italia arcigay, arcilesbica e tutte le altre arciqualcosa siano "sigle storiche delle lotte LGBTI del nostro paese", ma precisamente di quali lotte LGBTI si sta parlando? Organizzano i pride, serate nelle varie discoteche, ma diciamo che i moti di stonewall sono un'altra roba eh...

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Loran 30.5.17 - 18:30

Prima di ogni polemica bisognerebbe definire cosa sia un utero in affitto e una gravidanza surrogata. Si può parlare di utero in affitto quando la donna viene costretta a portare avanti la gravidanza sotto la coercizione del denaro, spesso anche fuori strutture mediche ufficiali e violando le leggi di quasi tutte le nazioni e il principio di autodeterminazione, ed è un problema sociale di cui ogni nazione dovrebbe trovare il modo di contrastare. Al contrario quando non c'è coercizione economica, la gravidanza è fatta in strutture riconosciute attraverso le leggi delle nazioni in cui si verifica non c'è nulla di male perchè diventa una libera scelta quindi un autodeterminazione di chi porta avanti la gravidanza. Se non si fanno queste distinzioni e si è contrari a tutte e due le forme ci troviamo difronte ad un pensiero che da una parte ad una falsa lotta al patriarcato dei maschi e dall'altra ad un ricalcare (o meglio ad un influenza) certa ideologia di stampo vaticana che vede i figli un diritto solo per le coppie eterosessuali anche nei casi di gravidanze surrogate perchè non dimentichiamoci che queste pratiche esistono da molti decenni ad uso delle coppie eterosessuali ma le polemiche sono scoppiate solo oggi durante l'approvazione della legge sulle unioni civili, chissà perchè?

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    fabulousone 30.5.17 - 20:34

    Io non farei quella distinzione terminologica. Il concetto di affitto non c'entra con la coercizione; uno può benissimo mettere in affitto qualcosa, in questo caso il proprio utero, in tutta libertà e consapevolezza, senza essere minimamente forzato a farlo. Io parlerei di gestazione per altri, gestazione conto terzi, surrogazione; mi sembrano espressioni più adatte e anche più inclusive rispetto a utero in affitto visto che comprendono sia i casi in cui il servizio è a pagamento sia i casi in cui il servizio è a titolo gratuito con tutt'al più dei rimborsi spese. Sul resto del tuo discorso, concordo in pieno.

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      Loran 1.6.17 - 0:24

      Si in linea di principio quello che dici è vero ma non si può non dimenticare che purtroppo esistono molti casi dove la donna viene sfruttata e costretta per ragioni economiche a prestare questo "servizio" alienando il suo diritto all'autodeterminazione. Di contro invece in molte nazioni le gravidanze surrogate possono essere fatte solo in strutture controllate e sotto la tutela delle legge. Adesso tutta una fascia di pensiero di orientamento cattolico fa di tutta un erba un fascio bollando tutte le gravidanze surrogate con il termine dispregiativo di utero in affitto come se il desiderio di avere dei figli fosse per le coppie gay come quello per una qualsiasi proprietà o merce ed è qui che ha mio parere sarebbe bene fare questa distinzione tra utero in affitto e gravidanza surrogata.

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        fabulousone 1.6.17 - 1:50

        C'è certamente da distinguere tra situazioni in cui il servizio viene offerto in piena libertà, nel rispetto delle leggi, e situazioni in cui vi sono sfruttamenti, illegalità. Tra l'altro questo vale per qualsiasi ambito, per qualsiasi cosa. Quello che ho voluto evidenziarti è semplicemente che l'affitto può esserci e c'è senza alcuna coercizione. E non parlo solo in linea di principio, mi riferisco alla vita di tutti i giorni; se decidi di mettere un appartamento in affitto non è che sei costretto a farlo, semplicemente ti va di farlo e di guadagnarci qualcosa su. Perciò trattare l'affitto come se presupponesse una coercizione non ha senso. L'espressione utero in affitto può piacere o meno ma non indica qualcosa che avviene sotto coercizione. Tra l'altro, non metterei le virgolette parlando di servizio, dato che stiamo parlando di un servizio a tutti gli effetti: il servizio di gestazione per altri, in cui una donna ospita nel proprio utero una creatura altrui in fase embrionale per consentirle di svilupparsi; servizio che può essere a titolo gratuito o a pagamento.

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          Loran 2.6.17 - 15:32

          Per quanto riguarda nazioni come stati uniti canada ed europa ci sono leggi che vietano il pagare direttamente la donna per portare avanti la gravidanza surrogata come ad esempio vietano il vendere i propri organi sia in vita che dopo morti. Quindi l'espressione utero in affitto implica sempre un contravvenire queste leggi sia per facilitare tutto il processo tramite il denaro e quindi presuppone anche una necessità di tipo economico da parte della donna a fornire questo servizio. Certo ci potrebbe anche essere una donna senza necessità economiche che voglia guadagnare qualcosa correndo tutti i rischi di una gravidanza illegale (leggi, clinica compiacente, rischi per la salute) fornendo questo servizio per una coppia gay, si è possibile ma assai improbabile. Appunto si sta parlando della vita reale non di casi che ipoteticamente potrebbero verificarsi.

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          fabulousone 2.6.17 - 18:39

          In realtà a quanto so negli Stati Uniti la gestante per altri può essere pagata per il servizio che offre. E io sinceramente non vedo alcunché di male in questo. Non vedo perché mai le donne che decidono di offrire questo servizio dovrebbero essere condannate a lavorare gratis. Non vedo, tra l'altro, perché mai trattare l'eventuale pagamento come se riguardasse per forza una donna in stato di miseria; in nessun ambito della vita si presuppone che chi offre un servizio a pagamento sia in stato di miseria, è assurdo anche solo pensarlo, e in ogni caso le leggi devono tenere conto di tutte le sfaccettature della realtà, non solo di alcune, perciò anche se stessimo parlando di poche donne la legge ne dovrebbe comunque tenere conto, non mettere la testa sotto la sabbia facendo finta si tratti sempre di donne povere. L'espressione utero in affitto indica semplicemente una donna che decide di mettere in atto una gestazione per altri volendo essere pagata per il servizio che offre. Un conto è dire che tale espressione non ci piace tutt'altro conto è dire che indica una coercizione.

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          Loran 3.6.17 - 8:22

          No negli Stati Uniti come in altre nazioni c'è un rimborso per il periodo in cui la donna si sottopone a questa operazione per il suo sostentamento e comunque non è possibile portare avanti una gravidanza per terzi fuori dalle strutture ufficiali. Questo non è un ambito che si può paragonare a qualsiasi altro della vita e quello che è assurdo è pensare che in nazioni dove per la GPA c'è una completa assistenza per la donna questa voglia contravvenire alla legge correndo anche rischi per la sua salute portando avanti una gravidanza non avendone motivi se non quelli di un guadagno. Non è una questione di cosa ci piace o non ci piace e di ipotesi di come dovrebbe essere o non essere ma di guardare la realtà dei fatti. Ci sono nazioni dove le donne rischiano la loro salute e la loro libertà per le gravidanze surrogate, e questo va denunciato e combattuto mentre in altre tutto il processo è sotto il controllo dello stato e delle leggi e sono consentite. Il punto del mio discorso è che bisogna fare questa distinzione è non fare di tutta un erba un fascio per voler negare (come fa tutti un certo tipo di pensiero cattolico e non) a prescindere la genitorialità (anche con le gravidanze surrogate) alle coppie omosessuali.

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          fabulousone 3.6.17 - 9:04

          Nient'affatto. A quanto mi risulta negli Stati Uniti le gestanti per altri possono eccome essere pagate. E' in nazioni come Canada e Regno Unito che è possibile solo un rimborso spese. Ad ogni modo, quale che sia la situazione in quei Paesi, il pagamento della gestante per altri è cosa da considerare giusta e sacrosanta. Ripeto, non vedo perché mai costringere le donne che offrono tale servizio a lavorare gratis, e perché mai presumere che siano per forza in miseria. Certo che si deve essere contro situazioni di sfruttamento e illegalità; qui stiamo appunto parlando del fatto che il servizio di gestazione per altri deve avvenire in tutta consapevolezza e libertà, e questo vuol dire anche potendo venire pagate, legalmente pagate, per il servizio offerto, attuando ciò che, con un termine che può apparire indelicato e quindi non piacere, viene definito utero in affitto e che molto semplicemente è gestazione per altri a pagamento.

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          Loran 5.6.17 - 18:27

          Certo è chiaro anche per me se è una libera scelta non imposta da motivi economici e consentita dalle leggi dello stato se la donna si fa pagare per portare avanti una gestazioni per tersi non ci sono problemi. Per quanto riguarda le definizioni del termine in tutte le situazioni legali ce ne sono molti tra cui anche utero in affitto che in genere viene usata solo in maniera dispregiativa in alcuni ambiti cattolici di destra (omofobi quando riguarda le persone gay) per sottolineare la mercificazione della cosa.

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Antonio Magno 30.5.17 - 10:04

Sarebbe ora che anche noi maschietti scioperassimo dal donare il seme... Poi voglio vedere cosa accadrebbe....

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