UNAR nega il depotenziamento per le case rifugio e i centri antidiscriminazione rivolti alla comunità LGBTQIA+

Costretto a rinnovare il finanziamento al bando, il Governo ha comunque imposto tutte le limitazioni possibili per ostacolare la creazione di nuovi spazi sicuri, nel momento in cui ce ne sarebbe più bisogno. Ma il direttore UNAR Mattia Peradotto smentisce.

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Giorgia Meloni ed Eugenia Roccella
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“[I centri] esistenti continueranno a ricevere un’offerta da parte del governo. Ma sotto il nostro governo non nasceranno nuovi”. Così Assuntina Morresi – vice capo di Gabinetto della ministra alla Famiglia e alla Natalità Eugenia Roccella – confermava in un incontro a porte chiuse con le associazioni una linea di condotta governativa volontariamente volta a limitare l’espansione delle strutture di accoglienza e protezione rivolte alla comunità LGBTQIA+. Nonostante i tentativi di smentita successivi, oggi tale linea di condotta viene ulteriormente rafforzata.

Fortemente depotenziato il fondo nazionale UNAR per l’istituzione e il rafforzamento dei centri contro le discriminazioni motivate da orientamento sessuale o identità di genere: il Governo si limiterà a mantenere le realtà esistenti, senza permettere l’apertura di nuovi, necessari spazi sicuri per una comunità LGBTQIA+ che nel nostro paese è sotto assedio.

Sono ormai all’ordine del giorno gli episodi di violenza e abuso a sfondo omolesbobitransfobico a tutti i livelli, dal lavoro alla famiglia alla scuola, nelle nostre strade e piazze, e addirittura a livello istituzionale. Eppure, la posizione ideologica di questo governo – che sin dal suo insediamento insiste nell’ignorare la discriminazione sistemica verso le minoranze sessuali che esso stesso contribuisce ad alimentare – fa sì che tutto venga spazzato sotto il tappeto.

Se il fondo specifico non potrà essere cancellato almeno fino al 2027, appare evidente che l’attuale amministrazione abbia scelto di operare entro i limiti delle norme esistenti per minimizzarne l’impatto.

La decisione di finanziare solo le strutture già forti e operative esclude de facto la possibilità di creazione di nuovi centri, tagliando fuori tutta quella parte di rete grassroots fondamentale per l’assistenza immediata e locale alle vittime di discriminazione e violenza e colpendo particolarmente le aree provinciali e le piccole comunità, dove la presenza di strutture antidiscriminazione è spesso assente o insufficiente.

Per accedere al bando, le strutture dovranno essere operative da almeno un anno, con la necessità di aver offerto vitto e alloggio durante tale periodo, criterio che impedirà l’accesso ai finanziamenti per i progetti in fase di avvio e per le nuove strutture che potrebbero fornire rifugio in aree criticamente bisognose.

Le associazioni promotrici dovranno inoltre essere attive da almeno tre anni e dimostrare un’esperienza consolidata nella fornitura di servizi rilevanti, escludendo automaticamente le nuove iniziative che stanno tentando di sviluppare soluzioni innovative e mirate per contrastare l’inarrestabile escalation di omotransfobia nel nostro paese.

Intervistato da Simone Alliva per l’Espresso, Trianda Loukarelis  – responsabile advocacy internazionale per Unicef e direttore del dipartimento UNAR nel 2020 – ha spiegato come il bando segua una semantica che di fatto blocca l’apertura di nuove case rifugio, relegando il sostegno a semplici sportelli di consulenza che, seppur utili, non possono rispondere adeguatamente alle necessità delle vittime:

“Il fatto di parlare di rafforzamento somiglia proprio a una scelta ideologica, mi spiego; quando fu fatto il primo bando, all’epoca anche lì si decise di non finanziare nuove case rifugio ma per due motivi: era una novità assoluta e bisognava fare una sperimentazione, il secondo perché il dipartimento Pari Opportunità sosteneva, insieme ad alcune regioni, che bisognava attendere linee guida per le case rifugio per donne vittime di violenza, per stabilire nuove regole. Adesso sono passati anni e non c’è nessuna giustificazione per non finanziare la nascita di nuove case. Il non detto che leggo da questo bando è chiaro: per evitare critiche confermiamo l’esistenza delle case che già ci sono, ma non vogliamo crearne nuove. Anche se servono”

Secondo Alessandra Maiorino, vicepresidente del gruppo Movimento 5 Stelle al Senato, il fondo è stato riconosciuto come necessario, ma manca completamente la volontà politica di utilizzarlo per sviluppare nuove infrastrutture.

Fu la stessa Maiorino a sottoscrivere l’emendamento che nel decreto rilancio di agosto 2020 garantì i 4 milioni di euro essenziali per finanziare, tra le altre cose, la creazione di case rifugio e sportelli di ascolto per le vittime di violenza omotransfobica. Tuttavia, l’impegno iniziale, oggi, sembra essere deliberatamente trascurato, quando invece dovrebbe essere intensificato. L’Italia si posiziona infatti al 35º posto su 49 paesi europei per la tutela dei diritti LGBTQIA+, con un punteggio di appena il 22,33% rispetto al pieno rispetto dei diritti umani e alla piena uguaglianza.

Solo l’ennesimo esempio di una politica che preferisce non vedere, non sentire e non parlare dei problemi reali, lasciando vittime di discriminazione e violenza “di serie B” a combattere da sole una battaglia quotidiana per la propria dignità e sicurezza solo perché colpevoli di essere nella parte sbagliata di una terrificante agenda ideologica. 

Update 1 agosto: Pubblichiamo per intero la richiesta di rettifica da parte del direttore UNAR Mattia Peradotto.

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