Il Milano Pride non ha reso felici tuttə

La richiesta: "Non potremmo togliere qualche carro, e capire come muoverci seguendo una marcia più adatta alle esigenze di ogni soggettività coinvolta?"

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milano pride 2023 foto edoardo girardin (@auronlab)
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Il Milano Pride non ha reso felici tuttə.

A due giorni dalla parata del 24 Giugno, il Toilet Club (tra le serate queer più frequentate della città) e Pop Milano (locale e punto di ritrovo nel quartiere LGBTQIA+ di Porta Venezia) hanno esposto sui rispettivi canali social una serie di riflessioni che evidenziano un mancato bilanciamento con le presenze e gli intenti della parata. I due post hanno generato una valanga di interventi e ricondivisioni, dando spazio e voce ad un malcontento più ampio all’interno della comunità.

Le critiche sono rivolte alla parata stessa, che non ha né contemplato lo storico quartiere rainbow della città, né recato alcun disturbo alle aree centrali.

Come sottolineano molti commenti, Porta Venezia non è uno spazio di autoghettizzazione, ma vorrebbe essere un safe space essenziale per più identità queer, trans* e non binarie nella città. A differenza di molti altri luoghi del centro dove si è svolta la parata. Oltre agli eventi della Pride Square, quest’anno è nato il progetto  Orgoglio Porta Venezia, con l’obiettivo di valorizzare e celebrare la contemporaneità e la diversità del quartiere storicamente queer, tutto l’anno, del capoluogo lombardo.

“Mi rendo conto che c’è un problema di persone e di sicurezza in Porta Venezia, e ci sta apportare delle modifiche, sarebbe assurdo non farlo. Ma questo non significa tagliarlo completamente fuori” spiega a Gay.it Fedya, proprietaria di Pop Milano.

Anche Francesco Pintus, organizzatore del Milano Pride, spiega che difatti Porta Venezia non riesce a contenere tutta quella mole di persone: “Corso Buenos Aires (ndr. strada adiacente al quartiere) è una via stretta e lunga che, come tutti gli organizzatori di eventi sanno, non è ideale per ospitare un grande numero di persone in sicurezza” dice a Gay.it. “Se si potesse fare dovremmo rinunciare ad alcune possibilità, come l’allestimento di un’area pedonale in largo anticipo, o l’assenza di fontanelle d’acqua, un presidio medico sanitario, e avremmo un palco molto più ridotto“.

Pintus dice che Parco Sempione, adiacente all’Arco della Pace dove si è conclusa la parata e ha avuto luogo la seconda parte della manifestazione con gli interventi di politicə, attivistə e artistə (qui il nostro resoconto), permette di accogliere una mole di persone nettamente maggiore e con una cassa di risonanza più ampia, definendo il percorso del Milano Pride 2023 studiato ad hoc per permettere accessibilità a chiunque, con zone ampiamente ombreggiate e piste ciclabili percorribili da persone in carrozzina.

Eppure, più partecipanti alla marcia hanno considerato la scelta del percorso una variopinta ma faticosa street parade sotto gli uffici vuoti delle multinazionali.

Una camminata non solo poco accessibile per lunghezza e orario, ma anche un po’ fine a sé stessa, ponendo la domanda: può avere senso manifestare dove non ci vede e sente davvero nessuno, cantandocela e suonandocela tra di noi?

Perché snaturarla dai quartieri della comunità? A chi interessa un percorso così lungo e con così tanti carri?” chiede Fedya “Non potremmo togliere qualche carro, e capire come muoverci seguendo una marcia più adatta alle esigenze di ogni soggettività coinvolta?

Come spiegato nel post pubblicato ieri dal Milano Pride, il palco ha offerto più di quattro ore di contenuti politici e sociali, con oltre 40 attivistə.

Ma per moltə partecipanti il concerto presso l’Arco della Pace è sembrato più rilevante per le performance, che gli interventi politici: “La rappresentanza c’è stata e il problema non è festeggiare cantando musica pop, ma sembra che ci sia l’intenzione di attrarre pubblico più per l’esibizione dellə artistə e meno per gli interventi dellə attivistə” interviene Stefano Lo Zelmo, deejay del Toilet Milano, chiedendo: “Il palco è il mezzo o il fine? É più urgente utilizzarlo per un concerto da Festivalbar o per veicolare messaggi giusti?

La domanda chiama in causa anche la scelta di sponsor che prendono il sopravvento e coprono la vera natura della manifestazione, dicendo: “Non si è contrari agli sponsor di per sé, ma esiste un codice etico nella selezione dei brand? Cosa fanno queste multinazionali per la comunità il resto dei 364 giorni all’anno?” .

Dall’altra parte, Pintus spiega che per garantire un Pride ecologico, inclusivo, e accessibile a tuttə, questi sponsor sono necessari: “Gli sponsor ci sono perché il Milano Pride costa molto. Ancora di più se lo vogliamo rendere un evento inclusivo e avere degli interpreti presenti ad ogni evento. Per scegliere dei carri elettrici e non a benzina o diesel. Per supportare le numerose associazioni locali che altrimenti non potrebbero partecipare al Pride. Per mantenere sicurezza tra le persone. E anche per avere un Pride più accessibile, permettendo un servizio di streaming sui nostri social“.

In questo modo le spese del Milano Pride non sono più a carico delle associazioni che partecipano, e ogni ricavato va a sostegno della raccolta fondi Rainbow Social Fund, progetto istituito per sostenere persone in difficoltà sul territorio e abbattere pregiudizi.

É vero che ci sono alcuni sponsor che partecipano solo col fine di fare marketing, ma la stragrande maggioranza inserisce la propria partecipazione all’interno di percorsi di diversity and inclusion che promuovono nelle loro aziende, permettendo alcune commodities per le persone LGBTQIA+ sul posto di lavoro” continua Pintus, dichiarando che gli sponsor meno idonei sono esclusi dalla parata.

Tuttavia, le critiche evidenziano un problema di comunicazione tra istituzioni e soggettività che fatica a trovare una mediazione: per molte persone il Pride prende la forma di un’entità a sé, un palinsesto composto da associazioni sempre più scollate dalla vita di comunità, che nonostante i trecentomila partecipanti non riesce a colmare le urgenze di generazioni nuove e passate. Ne avevamo parlato nel nostro precedente articolo che poneva una riflessione sul fenomeno, evidente già da qualche anno, ma decisamente esploso in questo 2023, di quelli che abbiamo definito Pride antagonisti. Tema su cui anche Il Post è intervenuto.

Uno scenario che spesso lascia da parte le voci davvero marginalizzate, come nel caso di Bruna, donna transessuale picchiata dalle guardie settimane fa, eletta madrina del Bari Pride (intervista) e che ha portato già da qualche anno alla nascita di rivolte ‘alternative’ in più città d’Italia, svincolate dalle logiche istituzionali (come il Priot di Roma, il Rivolta Pride di Bologna, o la stessa Marciona su Milano).

Esiste la possibilità di sedersi e trovare un punto d’incontro che accolga le esigenze di quell’ampia fetta di persone che si sentono ogni anno meno rappresentatə?

Come sottolineano Pop Milano e Toilet Club, l’obiettivo non sono le polemiche sterili o chiudersi nelle rispettive nicchie boicottando il Pride, ma puntare ad un lavoro di squadra propositivo e autocritico, che nel 2023 sappia avvicinarsi alle esigenze di una comunità che necessita di confrontarsi e trovare un punto d’incontro.

Anche Pintus si dichiara assolutamente favorevole, sottolineando che la commissione del Milano Pride non è chiusa né elitaria, ma sempre aperta al dialogo: “Siamo consapevoli del fatto che le critiche al Milano Pride vengano da persone che possono avere anche visioni e prospettive diverse fra di loro. Da un lato c’è un’ala – potremmo dire – antagonista che punta a un Pride senza sponsor; dall’altro lato abbiamo alcune realtà commerciali che hanno il legittimo interesse commerciale affinché la parata finisca in Porta Venezia (che comunque resta protagonista, con le giornate di eventi e le tante iniziative delle associazioni che organizziamo). Comprendiamo e rispettiamo entrambi i punti di vista. Pensiamo sia importante continuare a lavorare sulla sostenibilità economica della manifestazione e su un percorso e uno spazio per l’evento finale che consentano al Pride di Milano di crescere, essere accogliente e diventare sempre di più un evento con una forte connotazione politica e internazionale, sul modello dei grandi Pride europei, senza tralasciarne la dimensione di festa aperta a tuttə”.

La questione resta aperta e, secondo noi di Gay.it, posto che c’è sempre spazio per tuttə le diversità e che non bisogna sempre essere d’accordo su tutto, vale la pena portare avanti il confronto. Prima del Milano Pride 2024.

 

In copertina, immagini di Edoardo Girardin, tratte dalla galleria: Stupendo è il popolo queer: reportage fotografico dal Milano Pride 2023 >

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