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Malak al-Kashif, la ragazza trans arrestata e vittima di abusi e violenze in un carcere maschile in Egitto

Da mercoledì, la famiglia non sa dove sia la loro figlia.

Malak al-Kashif
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Malak al-Kashif aveva manifestato in una protesta non autorizzata a seguito dell’incidente ferroviario alla stazione di Ramses del Cairo, avvenuto circa due settimane fa e che aveva causato la morte di 30 persone. La ragazzo 19enne, assieme a un gruppo di 70 persone, mercoledì è stata arrestata e portata in carcere, ma da quel giorno la famiglia non ha più sue notizie. Il loro timore, adesso, è che sia stata portata in un carcere maschile, perché i documenti d’identità riportano ancora il suo nome al maschile. 

Se così fosse, Malak al-Kashif sarebbe in grave pericolo, a cause delle violenze che le persone transessuali devono sopportare nelle carceri. E non solo in Egitto. Qui, come in altri paesi, la comunità LGBT è vittima di continue violenze, e anche la Polizia non se ne preoccupa più di tanto. Per questo motivo, Malak rischia abusi sessuali e violenze di vario genere tanto dagli altri detenuti, quanto dagli agenti della polizia penitenziaria egiziana. 

Malak al-Kashif: la ragazza trans che non vuole lasciare l’Egitto

Malak al-Kashif è una ragazza da 3 anni. Ha concluso il processo di transizione, ma non riesce a ottenere la modifica del nome sui documenti ufficiali. Per questo motivo, viene ritenuta un maschio dalla legge, e anche dalla Polizia. Su questo punta si basano le paure della famiglia e dell’avvocato, che da giorni sta richiedendo alla National Security dove è stata incarcerata. Ma i servizi segreti egiziani restano in silenzio, impegnati ad adescare le persone omosessuali attraverso la rete, per poi arrestarle, picchiarle e torturarle. 

Malak nell’estate del 2018 ha tentato di suicidarsi, dopo l’ennesima violenza subita per strada e gli abusi subiti in un ufficio pubblico. “La società che mi ha ucciso, mi rigetta, mi fa male, mi arresta” aveva spiegato dopo il tentativo di togliersi la vita. Dal 2017, invece, aveva raccontato il suo processo di transizione attraverso i social, e anche in questo modo era conosciuta. E, forse, proprio per la sua celebrità e le sue apparizioni i servizi segreti hanno atteso ad arrestarla, aspettando appunto la protesta a cui aveva preso parte. 

Il suo arresto si aggiunge ai numerosi blitz della Polizia. Come quello avvenuto nel 2017, che spedì in carcere 75 persone per aver sventolato una bandiera arcobaleno durante un concerto. Oppure, l’arresto di Mohamed al-Ghaity, un noto conduttore televisivo, che aveva invitato nella sua trasmissione un ragazzo omosessuale. Nel corso dell’intervista, il ragazzo era stato dipinto come un malato dallo stesso conduttore, dimostrando quindi le sue già ben note posizioni omofobe. La condanna derivava dal fatto che aveva mostrato una persona omosessuale in Tv. A questi, si aggiungono gli abusi sessuali, le violenze e le discriminazioni, in un Paese dove l’omosessualità non è un reato, ma indicata dal regime come una pratica immorale e blasfema.

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