Monica Romano: “Basta step costosi e umilianti per le persone trans* e non binarie, siamo cittadinə d’Italia”

Prima persona transgender eletta al Consiglio comunale di Milano, Romano ha raccontato la sua storia, il suo lungo e doloroso percorso, condiviso con migliaia di persone trans* e non binarie dal 1982 ad oggi.

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Monica Romano
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Esattamente 40 anni fa, per quanto sembri incredibile, l’Italia era un Paese all’avanguardia. Con la legge numero 164 del 14 aprile 1982, approvata durante il Governo Spadolini I, il nostro divenne il terzo Paese al mondo, dopo Svezia (1972) e Germania (1980), a consentire alle persone transgender di cambiare legalmente sesso. 40 anni dopo quella legge è rimasta invariata, invecchiando malamente, costringendo migliaia di cittadini a compiere un’odissea tra medici, avvocati, tribunali.

A ricordarlo, nel mese del Pride Month, Monica Romano, 43enne nonché prima persona transgender eletta al Consiglio comunale di Milano nella storia della città.

“Quando ero unə ragazzə, ormai qualche anno fa, intrapresi un percorso di affermazione di genere per poter essere finalmente me stessə. Dovetti andare da un medico psichiatra a dire che io ero… me”, ha scritto Monica, raccontando un tortuoso percorso che accomuna tutte le persone trans in Italia. “Dovetti sborsare migliaia di euro che non avevo – vengo da una famiglia meravigliosamente modesta – per pagare una valutazione psichiatrica imposta, in quanto obbligatoria, e un avvocato. Fui costretta a rivelare dettagli della mia vita intima a perfetti sconosciuti, a interloquire con un pubblico ministero – io che non avevo mai preso neanche una multa – e a rivelare a estranei come era fatto il mio corpo, affinché potessero… “valutarlo””.

Verità a molti sconosciute, perché le persone trans in questo Paese sono le più invisibili tra gli invisibili, il più delle volte volutamente accompagnate da diffamante disinformazione. “Ho vissuto per anni con un nome maschile sui documenti perché queste sono le tempistiche che l’Italia prevede”, ha sottolineato Romano. “Non avrò indietro i miei soldi, ma soprattutto quegli anni, anni che avrei potuto e dovuto vivermi con la spensieratezza della gioventù e che invece se ne sono andati fra la preoccupazione di dover esibire un documento di riconoscimento che non mi corrispondeva nelle situazioni più svariate e il dover gestire due lavori per potermi pagare gli studi, ma anche gli psichiatri, gli psicologi e gli avvocati di cui sopra. Insieme a migliaia di persone transgender, gender-diverse e non binarie italiane, ho subito una violenza agita dalle stesse istituzioni per avere un diritto che mi apparteneva già dalla nascita: quello di poter essere me, il diritto alla mia identità personale”. “Voglio fortemente che tutto questo – l’obbligo di passare attraverso step costosi, umilianti e svilenti – non accada più a nessunə giovane persona transgender e non binaria”, ha ribadito la consigliera comunale, che ha lottato e ottenuto il Registro di Genere a Milano, promettendo che si attiverà affinché “venga promosso anche in altre città d’Italia“.

L’organizzazione Mondiale della Sanità ha stabilito nel 2018 che la transgenerità e la variabilità di genere non sono malattie mentali, ed è ora che l’Italia si adegui e riveda radicalmente gli standard di cura relativi alla popolazione transgender, favorendone il più possibile l’autodeterminazione. Desidero con tutta me stessə che le persone transgender smettano di essere “pazienti” e diventino cittadinə di questo Stato con diritti e doveri, come tutti gli altri.

L’auspicio è che il Registro di Genere sia solo il primo passo per arrivare un domani a conquistare una legge all’avanguardia sul modello delle leggi già approvate in molti stati europei, una nuova legge che ci riconosca – tutte, tutto e tuttə – un diritto di cittadinanza che ancora non c’è“, ha concluso Romano, impeccabile e condivisibile nel suo appellarsi ad una politica troppo spesso cieco, sorda e menzognera, che continua ostinatamente a fare propaganda e campagna elettorale sulla pelle di migliaia di cittadinə.

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