Roma Pride, rottura di Arcigay: “Non scendiamo in strada per diventare un target commerciale”

La presidente di Arcigay Roma, Rachele Giuliano ed il vicepresidente Pietro Turano esprimono le loro perplessità sulla gestione dell’evento da parte del Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli.

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Arcigay Roma prende le distanze dal coordinamento Roma Pride, quest’anno arrivato al suo trentesimo anniversario.  Con un videomessaggio pubblicato su Instagram, la presidente Rachele Giuliano ed il vicepresidente Pietro Turano esprimono le loro perplessità sulla gestione dell’evento da parte del Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli.

“Anche quest’anno come Arcigay Roma parteciperemo a Roma Pride con un nostro carro insieme alle Arcigay del Lazio, ma non possiamo farlo in modo acritico, quindi vogliamo condividere le perplessità con cui lo attraverseremo. Avremmo voluto farlo in un tavolo politico, ma questa possibilità ci è stata negata” – spiega Turano Per poi passare la palla a Giuliano, che aggiunge:

“Dopo alcune contestazioni, il coordinamento Roma Pride è stato sciolto con una semplice mail, per poi essere ricostituito informalmente e privatamente in maniera poco chiara. Nel corso di quest’anno, come quello precedente, abbiamo inviato 20 mail  per sapere come poter entrare all’interno del coordinamento. Non abbiamo mai ricevuto risposta”.

La critica al Roma Pride include e si concentra principalmente su questioni di trasparenza riguardo le quote per l’ingresso nel comitato organizzatore e la gestione degli sponsor.

Il primo messaggio dal coordinamento Roma Pride ci spiegava come bonificare al Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli la cifra per poter stare in parata con il nostro carro“.

“Stando al sito ufficiale, Roma Pride gode del supporto di numerosi sponsor istituzionali e di almeno 25 sponsor privati, fra cui molte multinazionali. Non siamo contrari a priori al contributo di sponsor commerciali e ne conosciamo la necessità e il valore, ma crediamo che in manifestazioni di questo tipo le modalità, le formgay.it/temi/roma-pridde e i criteri di selezione dovrebbero essere pubblici.”

Secondo Turano e Giuliano, il corteo romano avrebbe assunto negli anni una connotazione troppo commerciale per un evento che nasce come una rivendicazione dei diritti e un terreno di lotta per l’esistenza delle identità non conformi. Nonostante Colamarino abbia difeso la posizione del coordinamento in materia di sponsor nell’intervista rilasciata ieri a Gay.it, Arcigay rimane perplessa davanti al modo in cui il Mieli raccoglie tali adesioni.

“Non scendiamo in strada per diventare un target commerciale utile a far guadagnare qualcuno. Non siamo la merce di scambio di questo Pride.”

La critica si estende anche alla scelta della madrina del Roma Pride, Annalisa, al suo eventuale compenso, ma anche alla natura stessa delle icone queer italiane. La nomina di una donna bianca dichiaratamente eterosessuale e cisgender era già stata guardata con sospetto da alcuni esponenti della comunità.

“Il Pride ha dimenticato completamente la lotta di classe e tutto si piega alla logica del mercato, anche la scelta delle madrine, sebbene ci interroghi la modalità di ingaggio. Il presidente di Mario Mieli, nonché storico portavoce di Roma Pride, dice a Gay.it che la madrina non percepisce un compenso per la partecipazione al Pride. Ma non si esprime sulla partecipazione al party post-Pride. Anche in quel caso non ci sono accordi di tipo economico?

Solo a Roma il party concerto ufficiale del Pride, firmato da Mucca Assassina, serata fondata da quella stessa associazione, non è un evento gratuito ma prevede un biglietto d’ingresso di 34 euro. Abbiamo ancora bisogno di pagare persone famose ed etero cis come ambasciatrici nei nostri momenti di massima visibilità? Forse la loro voce è più rassicurante della nostra?

Tutto questo non ci sorprende se il Pride è gestito solo su logiche organizzative, ma non è sufficiente rendere il tutto catchy e vendibile, glam e appetibile. Non è un evento qualsiasi, ma una manifestazione politica. Se il fine non è la decostruzione, la messa in discussione, la rivendicazione, non riusciremo mai a costruire un’interlocuzione politica e una rivoluzione culturale.”

Sempre riferimento all’intervista a Mario Colamarino, presidente del Mieli, pubblicata su Gay.it a inizio settimana, Turano esprime i propri dubbi sulla compattezza del movimento LGBTQIA+ romano, elemento che Colamarino ha invece esaltato.

Viene detto che il movimento dei Pride non è mai stato così unito. Ma se c’è sintonia, allora perché il coordinamento Roma-Pride è stato sciolto per poi essere rifondato in maniera inaccessibile? Perché le critiche e le contromanifestazioni vengono liquidate con paternalismo? Perché la parte economica, che evidentemente è centrale, viene gestita da una sola associazione ed è incomprensibile esternamente. Come si pongono le altre associazioni Roma Pride rispetto a tutto questo e alla visione politica? Crediamo nella pluralità delle voci LGBTQIA più di questa città e siamo certe che il Pride di Roma meriti di essere più di questo.

 

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Turano e Giuliano si scagliano infine anche contro la posizione del Roma Pride nei confronti dell’attuale conflitto in Palestina, specificando come il comitato organizzatore non abbia assunto, a loro parere, una posizione sufficientemente determinata a riguardo.

Sul documento del Roma Pride è espressa una posizione democristiana di condanna alla guerra e per una soluzione di due stati, due popoli. Il cessato del fuoco è un modo timido per riferirsi a un conflitto. Bisogna parlare di occupazione, oppressione, genocidio, apartheid.

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Giorgio Migliavacca 22.6.24 - 23:14

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