Chiara Francini voce del podcast Refuge: “Alla ministra Roccella dico di ascoltare le storie di omobitransfobia” – INTERVISTA

"C’è ancora tanto da fare, le battaglie della comunità LGBTQIA+ sono battaglie di civiltà che dovrebbero riguardare tuttə noi".

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Da venerdì 3 novembre in esclusiva su Amazon Music è disponibile Refuge, podcast di Antonella Bolelli Ferrera prodotto da Lucky Red con voce narrante di Chiara Francini, chiamata a raccontare sei storie di ragazzi e ragazze Lgbt che hanno trovato accoglienza e sostegno grazie al progetto Refuge LGBT, fondato da Fabrizio Marrazzo nel 2016. Il servizio Refuge Lgbt dell’associazione Gay Center, di cui avevamo già parlato con Pietro Turano, dispone di due case di accoglienza, protette, in località segrete, che ospitano rispettivamente, a turno, fino a quando è necessario, otto giovani LGBT e quattro persone trans, tutti vittime di discriminazione e di violenza.

Refuge, infatti, fornisce ospitalità e supporto a giovani, vittime di odio e discriminazioni per il loro orientamento sessuale o di genere. Un progetto che ha permesso a tante persone di trovare la salvezza da situazioni di grave abuso e violenza psicologica e/o fisica.

In sei episodi da venticinque minuti, il podcast conduce dentro le vite di sei persone vittime di persecuzione, come Rosario, la quattordicenne Nanà, che dopo aver manifestato la sua omosessaulità viene costretta dalla madre a cure psichiatriche devastanti, e ancora Ariel, Denis, Marco e Veronica. Le storie sono liberamente elaborate dagli autori sulla base di alcuni casi gestiti dal servizio di Refuge LGBT.

Per il lancio di Refuge abbiamo intervistato Chiara Francini, giudice di Drag Race Italia.

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Dal 3 novembre su Amazon Music sei la voce narrante del podcast Refuge, che racconta storie di ragazzi e ragazze LGBTQIA+ che hanno trovato accoglienza e sostegno grazie al progetto Refuge LGBTQIA+, legato alla Gay Help Line. Come sei stata coinvolta? 

“Sono stata contatta da Lucky Red e mi è sembrato un progetto, toccante, fatto di tante verità che dovevano essere ascoltate”. 

 C’è una storia in particolare, tra le sei che hai narrato, che ti ha colpito più delle altre? E se sì, perché? 

“Tutte. Ascoltare quelle parole, quel dolore, quelle rinascite, quelle cadute e quella luce mi ha dato forza”. 

 Quanto credi sia necessario raccontare storie reali di vita vissuta, di omobitransfobia quotidiana, in famiglia. Nel primo episodio del podcast si racconta la vera storia di Rosario, figliə di un boss mafioso torturatə dai genitori. Come riuscire a far capire all’italiano medio che si sta effettivamente parlando di un’emergenza e che più case d’accoglienza per ragazzi e ragazze LGBTQIA+ sarebbero cosa buona e giusta? 

“Di omolesbobitransfobia si parla poco e a periodi alterni ma questo non vuol dire che non sia ancora e sempre un’emergenza del nostro Paese e della comunità LGBTQIA+. Per poterla affrontare è necessario mettere in campo tutti gli strumenti possibili, culturali e operativi. Le case d’accoglienza sono indispensabili per non abbandonare a se stessə tutte quelle persone che proprio in famiglia vivono violenze fisiche e verbali a causa del proprio orientamento sessuale o della propria identità di genere. Non possiamo lasciare indietro nessunə”. 

Il DDL Zan è naufragato al termine della scorsa legislatura, di matrimonio egualitario non se ne parla, la GPA potrebbe presto diventare “reato universale”, le famiglie arcobaleno sono assediate da governo e procure, la legge 164 del 1982 che disciplina la rettificazione dell’attribuzione di sesso necessiterebbe di ampia revisione ma nessuno fa niente, persino la carriera alias è sotto attacco. C’è da avere paura? 

“La storia del movimento e della comunità LGBTQIA+ ci insegna che proprio nei momenti di maggiore difficoltà si può e si deve unire tutte le forze per reagire. La comunità LGBTQIA+ lo sa fare e lo sta già facendo. È dovere di tuttə noi sostenere le loro lotte quotidiane”. 

 Questa non è la prima volta che ti esponi a sostegno della comunità LGBTQIA+, sei sempre stata nostra orgogliosa alleata. Ti sei mai chiesta come mai la stragrande maggioranza dei tuoi colleghi guardi questa drammatica realtà con totale disinteresse? 

“Come dicevo di omolesbobitransfobia se ne parla poco e a periodi alterni. A volte c’è la sensazione che si segua un po’ la corrente delle masse, cercando di intercettare il consenso anche grazie al sostegno alla comunità LGBTQIA+ e rimanendo, al contrario in silenzio quando si ha paura di esporsi. Io ragiono diversamente. Le battaglie della comunità LGBTQIA+ fanno da sempre parte della mia storia personale e professionale, sono battaglie di civiltà che dovrebbero riguardare tuttə noi, a prescindere dall’orientamento sessuale o identità di genere”. 

 Da 3 anni sei giudice di Drag Race Italia, format nato in un Paese, l’America, in cui diversi Stati stanno legiferando contro gli spettacoli drag, perché a loro dire farebbero “propaganda LGBTQIA+” nei confronti dei minori. Temi che simile e ulteriore ondata di odio possa arrivare anche in Italia?

“La favolosità delle drag queen con le loro parrucche, i loro glitter, i make-up e, soprattutto, con la consapevolezza del significato e dei messaggi della loro arte non può essere fermata. Sono inarrestabili, e noi siamo inarrestabili con loro”. 

Eugenia Roccella, Ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità del Governo Meloni, ha testualmente detto che in Italia “non vede omofobia, oggi”, perché a suo dire “c’è molta più attenzione per la libertà”. Detto che ascoltare il podcast Refuge potrebbe esserle utile, se tu potessi darle un consiglio cosa le diresti?

“Le consiglierei di ascoltare quelle storie provando a porsi in una prospettiva radicalmente diversa dalla propria. La prospettiva di una persona giovanissima d’età che subisce violenza fisica e verbale a causa del proprio orientamento sessuale. In troppi casi quella violenza è perpetrata proprio in famiglia, quel luogo di naturale protezione e cura. C’è ancora troppa poca attenzione in materia di omolesbobitransfobia e c’è ancora tanto da fare”.

 

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