Russia e diritti LGBTQ+, Europa sotto lo scacco del gas di Putin

A che punto sono i diritti civili nel paese che impone il ricatto energetico e minaccia di invadere l'Ucraina.

Russia LGBTQ Putin punto della situazione
Russia LGBTQ Putin punto della situazione
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La Russia di Vladimir Putin tiene in scacco l’Europa intera grazie al proprio gas naturale. Basti pensare che nel 2019 l’Unione Europea importava il 41,1% del suo gas naturale dalla Russia. Il 43,3% del gas naturale importato dall’Italia proviene dalla Russia. Negli ultimi due mesi le bollette nostrane sono schizzate a livelli improponibili proprio a causa dell’aumento del costo del gas, figlio anche della crisi diplomatica che coinvolge Russia e Ucraina, sull’orlo della guerra. Dinanzi all’ipotesi di un’invasione l’Occidente parrebbe andare incontro ad una crisi di coscienza, perché il ‘peso’ del gas russo è talmente centrale per l’economia globale da calpestare argomenti automaticamente definiti ‘marginali’ come i diritti civili, da Vladimir Putin cancellati. Soprattutto se LGBTQ+.

La depenalizzazione dell’omosessualità è diventata realtà in Russia il 27 maggio del 1993, mentre dal 1999 l’omosessualità non viene più considerata “malattia mentale”. Ma negli ultimi 20 anni il Paese è arretrato, sul fronte dei diritti, grazie all’ex funzionario del KGB russo.

Nel 2013 il parlamento nazionale ha approvato all’unanimità una legge che proibisce la distribuzione di materiale propagandistico a sfondo omosessuale, rivolto ai minori di 18 anni, in tutto il Paese. La tristemente celebre “legge contro la propaganda LGBT”, che ha di fatto reso illegali i Pride, così come il parlare in difesa dei diritti LGBTQ+, distribuire materiale che promuova le istanze delle persone omosessuali, propagandare l’idea che le relazioni tra persone dello stesso sesso siano uguali a quelle etero, mostrare film, serie tv e/o spettacoli tv con coppie dello stesso sesso. Decine di pellicole negli ultimi anni sono state bandite e/o tagliate (da Supernova a Benedetta passando per Eternals e il corto Out della Disney), così come sono stati cancellati festival LGBTQ+ e vietati i Pride, incarcerati gli attivisti e silenziate le associazioni.

Finchè ci sarò io, in Russia il matrimonio gay NON sarà mai legale”, ha tuonato Putin nel 2020, prima di modificare la Costituzione nel 2021. Sulla Carta costituzionale è stato ufficialmente vietato il matrimonio egualitario, le adozioni per le persone transgender e definita la “fede in Dio” come valore fondamentale della Russia. La campagna mediatica a sostegno degli emendamenti costituzionali è stata particolarmente offensiva. Come dimenticare l‘atroce spot in cui una coppia gay adottava un bimbo da un orfanotrofio, con il piccolo alla ricerca di una madre per poi ritrovarsi davanti ad uno dei due uomini forzatamente effeminato. Lo spot mostrava il bimbo triste, le maestre sconcertate. La musica si faceva melodrammatica, con il padre effeminato che mostrava al figlio il regalo del giorno: un vestitino da femminuccia, prima di cedere ad un abbraccio e ad un bacio al compagno. Spot censurato da Youtube, dopo lo sdegno internazionale, ma evidentemente efficace tra la popolazione più conservatrice. Un sondaggio del 2020 ha rilevato che quasi un russo su cinque vorrebbe “eliminare” la comunità LGBTQ + dalla società, mentre quasi un terzo dei russi sosterrebbe l’isolamento forzato della comunità LGBTQ +.

A metà 2021 Putin ha proposto di riconoscere come “estremisti” i gruppi LGBTQ+ e le femministe radicali. Il divieto, ideato dal presidente di un’influente commissione governativa, cadrebbe su tutti i contenuti dei suddetti gruppi sui social media e più in generale su Internet.

A fine 2021 le autorità russe hanno etichettato Russian LGBT Network, importante gruppo LGBT+ russo che da anni lavora per aiutare le persone LGBT cecene ad uscire dal Paese, e cinque avvocati del gruppo di attivisti Team 29 come “agenti stranieri“, designazione che implica un ulteriore controllo da parte del governo. Una volta così registrate, le ONG sono soggette a specifici controlli e sono costrette a contrassegnare tutte le dichiarazioni ufficiali con una nota.   In pochi anni la rete LGBT russa ha aiutato oltre 150 persone queer a fuggire dalla Cecenia e a trasferirle in regioni più sicure dentro e fuori la Russia. L’organizzazione ha 17 filiali in tutto il Paese e continua ancora oggi a compilare rapporti sulla persecuzione in corso delle persone LGBT+ in Cecenia, che il governo locale nega con insistenza.

Lo scorso novembre è stato oscurato il sito del Festival del Cinema LGBT di San Pietroburgo, mentre un colosso come Netflix è finito a processo per “contenuti LGBTQ+”. Lo scorso luglio la Corte europea dei diritti umani (Cedu) ha emesso una condanna nei confronti della Russia per violazione dei diritti genitoriali dei suoi cittadini. La sentenza era legata alla discriminazione inflitta dai tribunali russi ad una mamma transgender, alla quale è stata negata la possibilità di vedere i 2 figli perché entrata in transizione. Secondo quanto riportato dalla Corte di Strasburgo le autorità russe hanno violato “in modo manifesto” il suo diritto alla vita familiare e a non essere discriminata. La giustizia russa, precisa la Corte europea, non ha provato in alcun modo che la transizione di genere della mamma potesse arrecare un danno ai figli.

Ma Vladimir Putin prosegue indisturbato con la sua omotransfobia di Stato. Ostentata, rivendicata con orgoglio, esplicitata attraverso leggi discriminatorie e pericolose nei confronti di una fetta di popolazione.  Da questo punto di vista la Chiesa Ortodossa soffia sul fuoco, aizzando la politica fascista di un 69enne che da quasi 25 anni governa indisturbato un Paese da quasi 150 milioni di abitanti, silenziando l’opposizione.

Nel 2018, dinanzi alle ripetute denunce di violenze nei confronti degli omosessuali in Cecenia, la Russia negò davanti al Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU le accuse di torture e assassinii ad opera delle forze di sicurezza della regione del Caucaso contro la comunità LGBTI e riportate dal quotidiano Novaja Gazeta.  Le parole pronunciate dal ministro Aleksandr Konovalov fecero clamore e orrore: “Le indagini non hanno confermato violazioni dei diritti e non siamo neanche riusciti a trovare membri della comunità LGBT in Cecenia”.  Affermazioni che fecero il paio con quanto aveva dichiarato a suo tempo il leader della Cecenia Ramzan Kadyrov, indicato come mandante delle violenze: “Se in Cecenia ci fossero persone così le forze dell’ordine non avrebbero nessun problema con loro perché sarebbero i parenti stessi a spedirli a quell’indirizzo dal quale non si ritorna”.

Passati 4 anni la situazione per le persone LGBTQ+ russe è tutt’altro che cambiata. Anzi, è paradossalmente peggiorata. Perché Putin tiene in scacco l’Europa con il ‘suo’ gas, tanto da potersi permettere di prospettare l’invasione dell’Ucraina e calpestare i diritti di migliaia e migliaia di suoi concittadini. Nell’assordante silenzio del mondo che pavidamente accetta l’improponibile ‘baratto’.

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