"C’E’ DIO NELLE DARK"

Lo ha trovato uno scrittore francese, cattolico e orgoglioso di peccare: Oliver Py, dominatore di un "Paradiso di tristezza". Lo abbiamo intervistato.

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4 min. di lettura

PARIGI – Dio nelle dark room? Lo ha trovato Olivier Py, un autore, regista e attore di teatro, nel suo ultimo romanzo, molto autobiografico, "Paradis de tristesse" appena uscito in Francia (Actes Sud) e che per la poesia, lo stile e perché no, anche per il contenuto, meriterebbe di essere tradotto in Italia. "L’incontro di due esseri fa credere alla Provvidenza come l’incontro di due parole insegna a credere alla poesia" scrive Olivier Py parlando dell’incontro del narratore sottomesso (lui) con quello che diventerà il suo dominatore (Pascual). "Questo sogno che è probabilmente la cantina in cui invecchia il vino del bisogno maschio di oscurità e di oblio" traccia definendo il luogo dell’incontro che è una delle più sordide dark room parigine. "Tabernacolo del mio ricordo" continua nella definizione della sua dark. "Non c’è alcun sacrilegio ad amare la tristezza, questo si chiama musica" afferma "Tutte le torture che Pascual mi infliggeva avevano le loro corrispondenze musicali: l’acuto, il sordo, l’andante, l’allegro. Se non erano già sante, queste torture avevano il viso del sacro che io dovevo convertire.

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Abbiamo incontrato Olivier Py. Pomeriggio parigino pieno di sole. Tutto il contrario dell’atmosfera oscura che traspira dalle ricche pagine di "Paradis de tristesse". Teatro du Rond-Point, Champs-Elysées. È un uomo di grosso modo 35 anni. Di media statura, vestito di nero. Attaccato al suo telefonino. "Dio? Se lo si può trovare ovunque perché non si potrebbe trovare anche nelle Dark? Nel mio libro ci sono due tesi: nella prima si dice che in alcuni luoghi consacrati alla ‘caccia’ si possono fare esperienze spirituali uniche, che non si potrebbero fare in nessun altro luogo di incontro dell’umano; nelle dark si respira un’atmosfera di ascesi mistica, di misticismo. Nella seconda si sostiene che frequentare le dark non fa altro che allargare il vuoto che c’è dentro ciascuno tramite la sregolatezza sessuale. Si dice che c’è una differenza fondamentale fra il sacro, rappresentato da Pascual che è celebrazione della vita stessa, e la redenzione che si trova solo alla fine della notte.

Ma quando finisce la notte?

Nell’alba della salvezza. Nella mia giovinezza esitavo fra la fede e l’autodistruzione. Una sorta di lento suicidio. Poi ho scoperto l’arte e quella mi ha salvato.

Nel suo libro si dice che violenza e dolcezza sono la stessa cosa, come anche gioia e dolore…

Sono parole inconciliabili. Per questo le metto vicine. Nella notte sadomaso c’è questo confronto, questa guerra senza fine.

C’è anche infanzia uguale grazia in questi paralleli…

E’ la mia grazia perduta. Rimpiango la mia infanzia al bordo del Mediterraneo. Quel luogo è dell’ordine del perduto. Ho nostalgia. Cerco e tento di ricostruire quel passato con quello che posso. Rimanendo spesso deluso.

Anche i suoi personaggi sono nostalgici…

Il libro è molto autobiografico. È poco inventato. Ma i miei personaggi sono degli eroi. Hanno una possibilità di vittoria. Su cosa? Sulla morte, sul fallimento, sul desiderio, sul tempo vissuto.

Ma perché allora "Paradiso di tristezza"? Nell’immaginario collettivo il Paradiso è un posto in cui si sta bene…

Il mio è il paradiso che ci creiamo qui. È una musica triste. Un Jazz straziante. A volte c’è gioia nel dolore.

Qualcuno dice di preferire l’infermo per essere sicuro di non annoiarsi… Ci si annoia in paradiso?

No, nel mio Paradiso non ci si annoia mai. E si scopa molto. Annoiarsi sarebbe la peggiore delle cose. Vorrebbe dire essere anestetizzati. Sarebbe come accendere la Tv.

Una critica forte…

Non ho la televisione. Quando sono in hotel e c’è la metto nel corridoio. La Tv riempie i vuoi di una materia cieca. È il contrario della vita senza nemmeno essere morte.

Perché lei è diventato cattolico?

L’ho fatto apposta per non annoiarmi. Il cattolico non ha tempo di annoiarsi. È sempre in cammino, in marcia verso qualcosa, qualcuno, la scoperta di se, della gioia, del paradiso.

Un paradiso comunque triste…

Siamo limitati, mediocri. Peccatori. Ma i peccatori e le puttane sono quelli che arrivano prima nel regno dei cieli.

Che cos’è per lei il peccato?

Il solo peccato è la senzazione che ci manchi qualcosa. Questo è il peccato. Siccome abbiamo l’amore di Dio, che non potrà mai essere raggiunto nella sua grandezza dal nostro, non dovremmo mai sentire la mancanza. Dovremmo essere completi, riempiti. E invece no.

Si considera un peccatore?

Sì, sono orgoglioso di essere un peccatore. Dio è magnanimo e si tiene vicino i grandi peccatori.

Si può usare una dark per sentire meno l’assenza?

A volte si tenta di completare la mancanza con qualcosa che però alla fine non ci aiuta e ci lascia ancora più soli.

Lei è cattolico ma la Chiesa rifiuta i gay…

Rifiuta il sesso fine a se stesso. Anche quello eterosessuale. In realtà non dovrebbe dettare regole morali. La chiesa ha una sola cosa da fare: perdonare. Il Papa ha ragione a usare la fernezza a livello simbolico, ma i cattolici devono solo sorridere e perdonare davanti al peccato.

L’amore esiste. Dal suo libro non si direbbe…

C’è l’amore puro, mistico. Ma non quello di senso comune. C’è l’amore ineguagliabile di Dio. Ma i miei personaggi non si amano. Sono amici. Si danno dolcezza e sesso. L’amore è letteratura. Il narratore invece è distrutto da un altro ma in modo del tutto passionale. L’amore fra uomini, quando è esclusivo, possessivo, diventa osceno.

E il piacere? Dove si trova?

Godere vuol dire dimenticarsi. Dimenticare se stessi. Essere nulla. Annullarsi. Colui che gode in una relazione dominazione-sottomissione è il sottomesso. L’altro agisce magari anche con violenza ma solo per dolcezza, per dono totale di se. In realtà è il sottomesso a dominare in quanto riesce più dell’altro ad annullarsi, a perdere la sua identità.

Va ancora al Trap, la dark room di cui parla nel libro?

No, non ci vado più. Non ci va più nessuno. Vado in altri posti simili: al QG, al Keller. Ma frequento sempre meno le dark. Sono un po’ conosciuto, ormai. E questo perturba la mia vita notturna. C’è sempre qualcuno che viene a ricordarmi l’identità che sono venuto a perdere.

di Giacomo Leso

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