‘To the archives, no longer relevant’ era l’epitaffio che campeggiava sulla FW 15 di Raf Simons. L’onore delle armi concesso all’ossessione per la memoria, all’accumulo, alla storia.
Ma l’eterno ritorno pare essere l’unico appiglio per non cedere al risucchio del caos.
E allora la SS17 si apre con il vecchio inconsapevole di non essere altro che passato.
I manichini sono fantasmi che non san di essere morti e si mettono in posa per una foto, chiacchierano tra loro, cazzeggiano indossando la storia.
La musica partecipa al grande inganno, kraut-techno primigenia e certe incursioni in feticismi sonori tipo Adam & The Ants o anche Snowy Red e poi diventa parole crude.
Il setting fuori dalla Leopolda azzeccato col botto, coi corpi a sbalzo, sghembi e aggettanti. Subito in mente Anton Gormely e i suoi corpi metafisici, certi Total Strangers o Body Column, e della sua mostra dell’anno scorso al Forte Belvedere che si chiamava Human.
Gli abiti e i fit sono Raf Simons ma forse ancora più esasperati. I colli dei maglioni si slabbrano abbastanza da incorniciare volti stampati sulle maglie che stanno sotto.
Le camicie fanno i modelli chierichetti assai appetibili.
Di nuovo overall nere di pelle e berrettini sadomaso da portiere di notte, o da porno anni 70 senza volerla fare tanto lunga.
E poi le icone, proprio nel senso di icone russe votive e però sono postmoderne con sembrerebbe la Patti Smith e la Laurie Anderson.
E insomma è tutto un discorso su questo tempo che un po’ non passa lui e un po’ non vogliamo farlo passare noi ed è in questa lotta l’unico modo per cavalcarlo e non invecchiare.
Tanto che alla fine, proprio lui, Raf, è uscito con addosso una camicia di due anni fa.
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