Dover vivere in un ambiente di lavoro che ti è pregiudizialmente ostile è un dato di fatto, ma se si pensava che le molestie sessuali in particolare riguardassero solo le donne, abbiamo il dovere di fare una rettifica: ci sono, infatti, anche gli uomini. Le statistiche dell’U.E. assegnano una percentuale del 4% alle molestie rivolte agli uomini.
In Liguria ed in particolar modo a Genova, dobbiamo confermare, fatti alla mano, che il fenomeno esiste. Abbiamo dovuto affrontare recentemente due casi, uno di molestia ed uno di mobbing. Vi raccontiamo brevemente i fatti.
Nel primo caso Andrea (nome di comodo) un trentenne, che pur senza aver fatto alcun coming out non era evidentemente riuscito a celare in toto la sua omosessualità, è stato adocchiato da un collega, ovviamente regolarmente sposato… . Andrea si è visto fare pesanti avances da quest’ultimo. Al suo diniego il “collega” pur di ottenere soddisfazione alle sue voglie, non ha esitato a minacciarlo “Se non vuoi avere un rapporto con me, dirò a tutti gli altri colleghi che tu sei finocchio” (o per meglio dire, alla genovese, “buliccio”!).
Quando il malcapitato si è rivolto al nostro Ufficio per avere un aiuto e un sostegno psicologico, non abbiamo esitato a suggerire una terapia d’urto: rispondi che se non la smette di rompere sarai tu a denunciarlo “come finocchio”, nonostante la moglie! Andrea si è comportato conseguentemente e il caso sì è chiuso. Se questa pre-tattica non avesse funzionato, assieme al sindacato si sarebbe trovato il modo di far rispettare lo statuto dei lavoratori, il contratto nazionale di lavoro della categoria e magari i codici europei di comportamento, tutte regole che prevedono in modo specifico rispetto per le persone e in particolare l’obbligo per il datore di lavoro di assicurare a lavoratori e lavoratrici un ambiente sano e sereno.
Nel secondo caso, più difficile da gestire, Lorenzo, giovane universitario che lavorava in una cooperativa d’assistenza nelle case di riposo per anziani al fine di mantenersi agli studi, è stato fatto oggetto di mobbing dalla responsabile della cooperativa, che aveva scoperto indirettamente la sua omosessualità. Questo caso è stato più difficile da gestire perché Lorenzo non ha ottenuto l’appoggio dei colleghi di lavoro che dovevano testimoniare in suo favore (in questo tipo di cooperative i dipendenti sono quasi tutti a tempo determinato e più facilmente ricattabili dai capi) e non c’erano prove dirette che fosse l’omosessualità la fonte dei suoi guai. Il consiglio, anzi i consigli in questo caso, sono stati due: primo cercarsi un altro lavoro per garantirsi il sostentamento agli studi; secondo intentare, volendo, una causa per ragioni di principio alla cooperativa.
Lorenzo ha seguito il primo consiglio e ha subito trovato un altro lavoro, ma poi non se l’è sentita di affrontare la causa perciò il caso, questa volta, si è chiuso con un insuccesso e favorevolmente per la responsabile della cooperativa. Anche qui tuttavia il futuro sindacale prospetta una realtà di intervento interessante con l’acquisizione politica del problema mobbing e l’apertura nei territori di numerosi centri anti-mobbing.
Lasciamo all’intelligenza ed alla perspicacia dei visitatori di Gay.it le conclusioni e gli insegnamenti ricavabili da questi due episodi d’ordinaria vessazione che le persone omosessuali e transessuali (mi torna alla mente un altro recentissimo caso accaduto a Torino e riguardante una transessuale che superate tutte le prove ed i colloqui attitudinali, si è vista rifiutare l’assunzione quando ha svelato la differenza tra la identità anagrafica e quella di genere), conoscono purtroppo bene per essere quasi il pane quotidiano della loro vita.
di Enzo Peretta
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