Per un pelo non ce l’ha fatta. L’intenso e ispido dramma gender venezuelano “Pelo Malo” (“Brutti capelli”) di Mariana Rondón, grande favorito all’ottimo 31esimo Torino Film Festival, chiusosi con le repliche di ieri – ha sfiorato i 100.000 spettatori: 92.000 presenze con un aumento di incassi del 31% – è stato battuto sul filo di lana dal messicano “Club Sandwich” diretto da Fernando Eimbcke, commediola minimalista graziosella ma esile esile su una mamma invadente che in un resort semivuoto non accetta l’iniziazione sessuale del figlio paffuto con una ragazza formosa. Resta un sospetto: il presidente di giuria, Guillermo Arriaga, stimato sceneggiatore di “Babel” ma anche regista e attore, dichiarò in un’intervista di amare molto i conterranei Eimbcke e Reygadas, quindi “Club Sandwich” potrebbe essere stato favorito ‘a priori’. Tanto più che a San Sebastian proprio ‘Pelo Malo’ ha trionfato sul film di Eimbcke che si è dovuto accontentare della miglior regia: tra festival affini di solito è prassi evitare di dare gli stessi premi.
Ma “Pelo Malo” resta comunque il vincitore ‘morale’ con ben quattro riconoscimenti, due del Concorso Internazionale Lungometraggi (migliore sceneggiatura e migliore attrice, la sorprendente Samantha Castillo) e altrettanti collaterali: il premio della Scuola Holden, sempre per la sceneggiatura, e quello Valdata dei lettori del settimanale TorinoSette. Il Premio Speciale della Giuria è andato giustamente al francese “2 automnes 3 hivers” (“2 autunni 3 inverni”) di Sébastien Betbeder, riuscita commedia drammatica post Nouvelle Vague in cui i protagonisti – due coppie etero – raccontano direttamente in videocamera le proprie vicissitudini sentimental-esistenziali oltre che vederle rappresentate con uno stile da cinema verità. Spicca il cameo dell’attrice d’origine giapponese Eriko Takeda nel ruolo di un’ex compagna dell’Accademia di Belle Arti fidanzata con una ragazza e scopertasi lesbica “perché le relazioni con i ragazzi sono troppo complicate”. Premio Fipresci della critica e miglior attore Gabriel Arcand, fratello del più noto regista Denys de ‘Le invasioni barbariche’, per l’etico e significativo dramma canadese “Le démantèlement” (“Lo smantellamento”) di Sébastien Pilote su un agricoltore che vende la sua proprietà per sanare i debiti di una delle due figlie. Il pubblico ha infine giustamente scelto la vera sorpresa italiana di quest’edizione, “La mafia uccide solo d’estate” di Pierfrancesco Diliberto detto Pif, in grado di coniugare commedia intelligente e impegno civile parlando di Cosa Nostra con un tono ironico ma lodevolmente rispettoso (l’unico personaggio che stona è il presentatore di mezz’età vistosamente effeminato che conduce lo show corrotto “Bonsuar”).
Magnifica, infine, la retrospettiva sulla New Hollywood curata da Lady Competenza, ossia Emanuela Martini: si è potuto rivedere il cult “Midnight Cowboys” e nella seconda parte, l’anno prossimo, forse potremo gustarci la versione integrale di “Cruising”, sperando di ritrovare il nuovo, simpatico direttore Paolo Virzì che ha dato la giusta impronta, non solo più popolare, ma soprattutto più rilassata e meno austera.
Uno dei film migliori di quest’edizione, insieme alla splendida e sonnacchiosa ballata folk dei fratelli Coen “Inside Llewyn Davis” già premiata a Cannes, resta proprio “Pelo Malo”. Non si può restare indifferenti davanti alla forza emotiva di questo ritratto agrodolce di una famiglia venezuelana composta da Marta, una giovane mamma vedova con un bambino di nove anni, Junior (Samuel Lange, una vera rivelazione) e un altro figlioletto ancora lattante. La vita in un desolante casermone-alveare alla periferia di Caracas non è delle più facili: Marta ha appena perso il lavoro come vigilante e Junior è una sorta di piccolo “Re della Terra Selvaggia” dai capelli crespi che tenta di lisciare in tutti i modi – con colpi di phon, olio e maionese – per assomigliare il più possibile al suo idolo musicale, il cantante venezuelano Henry Stephen, autore dell’amatissima hit “Mi limon, mi limonero”. Ma la mamma teme che Junior possa diventare gay visto che adora “gli occhi grandi” del caciottaro da cui Junior va a fare spese e chiede consiglio al medico: “Sarà frocio, soffrirà?”.
Questi le consiglia di portare in casa “una presenza maschile che faccia da modello” ma la sciagurata si presenta col suo datore di lavoro e fa sesso con lui davanti al povero Junior. Gli unici che lo comprendono sono l’amica cicciottella ossessionata dall’elezione di Miss Venezuela e l’adorata nonna Carmen (Nelly Ramos) che pagherebbe persino per farselo affidare e asseconda la passione musicale del bimbetto preparandogli un abito identico a quello di Stephen.
‘Pelo Malo’ è un film profondamente gender perché non si sottolinea, in senso militante, la femminilità di Junior che cerca di emergere e affermarsi a livello identitario ma anzi, se ne evidenzia l’ambiguità di genere, in cui l’elemento maschile non è ‘soffocato’ ma convive con gli aspetti più femminei (a Junior non piace l’abito perché è ‘da femmina’ e cerca di comportarsi in casa come un pater familias). E non sapremo mai se Junior diventerà gay o no, ma non è questo il punto: nell’affermazione di sé a volte è necessario il compromesso e la splendida scena in stile ‘La moglie del soldato’ in cui la madre lo ricatta proponendogli la rasatura totale della testa lo dimostra in maniera esemplare.
È inoltre ammirevole il profondo scavo psicologico con cui si analizza il rapporto conflittuale tra madre e figlio – la regista ha dichiarato: “ho voluto mettere in dubbio l’amore materno: è una questione istintuale o un dovere incondizionato? Le emozioni non sono un dovere” – tema che è al centro anche del film vincitore “Club Sandwich” in cui però si riduce a una serie di gag scarnificate messe in scena con una regia asciutta composta da inquadrature fisse spesso reiterate (anche qui c’è un tocco gender: il ragazzo si masturba indossando il reggiseno del bikini rosso della madre).
“Pelo Malo” non ha ancora una distribuzione italiana ma la meriterebbe assolutamente senza bisogno di spaccare ulteriormente il capello sul suo indubbio valore.