Nei primi anni ’90 avevo circa 17 anni. In quel periodo lo scettro della capitale gay mondiale troneggiava sul capo di Amsterdam che aveva inanellato tanti epiteti e fasce come solo la migliore delle miss poteva ottenere: la "Mecca dell’omosessualità", la "San Francisco del vecchio continente", oltre a quella, non di settore ma più largamente riconosciuta, di "Venezia del Nord Europa" (cosa che poi scoprii essere andata ex equo a Stoccolma, pare infatti che a una città basti un canale e 2 ponti per essere assimilata alla nostra città lagunare).
Così un paio di anni dopo per il mio primo viaggio totalmente gay (se si esclude la gita in Grecia con la scuola l’ultimo anno di liceo quando ubriaco tentati di approfittarmi del mio compagno di camera) era ovvio che scegliessi Amsterdam. Tutti i miei neo amici gay c’erano già stati, anche più volte, e i loro racconti sembravano quelli di mio nonno che ritornato dall’America giurava: "Laggiù le mele sono grandi come meloni". Allo stesso modo tanta abbondanza nel linguaggio omosessuale poteva essere tradotta con l’immagine altrettanto evocativa di ragazzi fantastici e party da sogno. Se a questo si aggiungeva la tradizionale disinvoltura sessuale degli olandesi che rendeva il rimorchio una pratica meno complicata di quanto fosse in Italia, era ovvio che questa città fosse tra noi amici più popolare di Gerusalemme per Israele.
Mi bastò stare là solo una sola settimana per convincermi che era quello il posto migliore dove vivere. L’entusiasmo di un gay neofita aggiunto al poco mondo che fino ad allora avevo visitato mi avevano spinto a richiederla come meta Erasmus (cosa che poi saltò a causa della scelta del professore responsabile, berlusconiano ante litteram, di favorire tre colleghe bionde e particolarmente compiacenti invece che mandare me, ma questa è un’altra storia).
Se in campo di diritti civili per gli omosessuali oggi l’Italia continua ad essere il fanalino di coda del fanalino di coda, potete solo immaginare come fosse il panorama nostrano agli inizi degli anni ’90. Unioni civili, matrimoni, leggi contro l’omofobia, all’epoca non si pensava neppure potessero anche solo essere proposte, figurarci rivendicarle. Per questo l’Olanda, con la sua assoluta integrazione della comunità gay, vero e proprio vanto per la città tanto da esserne un’attrattiva turistica ben più apprezzata dei suoi mulini a vento, era per noi piccoli gay italiani in crescita il posto migliore dove vivere.
Oggi pare che l’Olanda non se la passi troppo bene. La destra xenofoba del PVV è il terzo partito e negli anni la tiara sulla testa di Amsterdam ha iniziato ad ossidarsi, forse colpa dell’umidità dei canali. Di fatto però non se ne sente più parlare come un tempo. Ecco allora che forse è arrivato il momento di indire nuove elezioni e su questo argomento, ne sono certo, l’elettorato gay si presenta alle urne con più interesse di quanto faccia per le politiche nazionali.
È evidente che la Spagna sia un’ottima candidata. Offre diritti civili e feste galattiche in egual misura ed è forse anche questo il motivo per il quale sempre più persone (a onor del vero molte anche eterosessuali) hanno deciso negli ultimi 5 anni di trasferirsi lì. Quindi lode e gloria alla penisola iberica e a tutte le altre (ormai sempre di più) nazioni illuminate dal fuoco del diritto e della parità. Altre candidate?
Negli anni ’80 non esisteva nessun altra città come New York (e se lo canta anche Madonna ci possiamo credere) ma a mio avviso oggi si presenta piuttosto sonnecchiona e imborghesita e incapace di mantenere l’alto livello di queer culture alla quale aveva abituato tutto il mondo fino solo a un decennio fa. Parigi, non ne parliamo neppure. Per carità, ci sono più gay in quella città che granelli di sabbia nel Sahara e il sesso te lo tirano appresso come i panettoni in saldo il 7 gennaio ma qui non stiamo parlando solo di sesso. Del resto anche Londra è altrettanto zeppa di feste, after hours a tutte le ore e bicipiti anabolizzati importati dal Brasile ma gli stimoli culturali "di settore" sono del tutto inadeguati rispetto a quelli che ci si aspetterebbe da città come queste. Berlino, fantastica, sperimentale, avanguardista ma a me tutta quella pelle nera, quelle catene e borchie spruzzate sul corpo incutono un po’ di timore. Certo ogni preferenza è assolutamente personale e qui garantiremo l’anonimato del voto ma solo di una cosa ci si rammarica: che si sia costretti ancora a guardare oltre confine per trovare il nostro "posto delle fragole".
di Insy Loan ad alcuni meglio noto come Alessandro Michetti
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