Il 26 Aprile è la Giornata Mondiale della Visibilità Lesbica.
E se non lo sappiamo, è parte del problema.
Istituita nel 2008, è quella giornata per dare spazio, attenzione, e priorità alla grande L del movimento, ribadendone l’importanza come monito per il resto dell’anno. Alcuni diranno: ma le donne lesbiche non sono già incluse nel LGBTQIA+ History Month o in tutte le altre ricorrenze e attività dedicate al movimento queer?La risposta è non abbastanza. Per affermare e rivendicare la propria soggettività, le donne lesbiche hanno sempre dovuto scontrarsi con uno sforzo in più: non solo quello di interfacciarsi con una società eteronormata e omofoba, ma anche fallocentrica e patriarcale (che sono diverse facce della stessa medaglia), trascinando strascichi di misoginia fino ai giorni nostri.
Una doppia battaglia iniziata l’8 Marzo 1972, quando Mariasilvia Spolato – una delle prime donne a far parte del FUORI! (Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano) – sfilò per Piazza del Popolo con un cartello su scritto “Liberazione Omosessuale”: nella giornata internazionale della donna, fu la prima a dichiarasi lesbica in una piazza italiana. La foto finì sulla copertina di Panorama e Spolato venne licenziata dalla scuola statale dove insegnava e ripudiata dalla famiglia, ma divenne pioniera e simbolo di autodeterminazione contro ogni dogma dello status quo. Nel 1974 venne pubblicato un numero del FUORI! firmato solo da donne, con l’obiettivo di denunciare le dinamiche misogine e maschiliste presenti anche all’interno del movimento omosessuale. Verso la fine degli anni Settanta nacquero i primi collettivi lesbici, dalle Brigate Saffo a Torino al Gruppo Realtà Lesbica di Firenze, al Rifiutare e Identità Negata a Roma e Donne Omosessuali a Milano. Nel 1981 a Roma venne fondato il Collegamento Lesbiche Italiane (CLI), per promuovere gruppi d’incontro e bollettini che divulgassero la cultura e la politica lesbica, creando un collegamento con le donne di altre città. Il collettivo femminista di via Pompeo Magno divenne punto d’incontro tra donne omosessuali e non, rendendo il lesbismo parte integrante e fondamentale per la battaglia femminista. In entrambi i casi, erano mosse dallo stesso obiettivo: ribellarsi e sovvertire un sistema che vuole le donne relegate a ruoli precostituiti, esclusivamente eterosessuali, e in funzione del piacere maschile.
Il 26 Aprile è una giornata per ricordare, oggi più di ieri, l’urgenza di un approccio intersezionale nella battaglia queer, dando spazio ad ogni gruppo marginalizzato ma anche riconoscere i nostri privilegi: perché anche nella comunità LGBTQIA+ ci si addormenta sopra una rappresentazione che dà massima priorità al maschio gay (possibilmente bianco, cis, e abile) e ne universalizza il punto di vista, lasciando ancora una volta le donne ai margini. Dare visibilità, significa anche passare il microfono, osservare il mondo attraverso una nuova lente, e mettere in discussione i nostri bias – partendo da quella misoginia interiorizzata che la comunità gay continua ad assecondare – e liberarci davvero.
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