Ecco un film che non ti aspetti. Metti il classico thriller pulp iperviolento alla coreana, quindi accoltellamenti-mutilazioni-sgozzamenti come se piovesse, con quel sadismo estremo alla Kim Ki-Duk in cui la visione è ripetizione ossessiva del dolore fatto immagine. Metti il poliziotto più temuto di Seoul, il più virile, il più figo in assoluto. Poi, cortocircuita tutto rivelando al pubblico che vuole cambiare sesso e diventare donna: e che donna! Siamo nello strepitoso Man On High Heels (L’uomo sui tacchi a spillo) di Jin Jang, venerato, eclettico maestro sudcoreano a cui il Festival di Rotterdam ha dedicato una retrospettiva l’anno scorso e la Francia (illuminata) ha deciso di distribuire in piena estate.
Ecco quindi in apertura una magistrale scena acrobatica in cui il protagonista Ji-wook (lo charmantissimo Seung-won Cha) fa irruzione nel banchetto di un boss mafioso locale sterminando uno a uno gli sgherri del malavitoso a colpi d’arte marziale con lame e pugni come nel miglior Tarantino. Lui è detto ‘l’uomo da tre milioni di dollari’, manda in tilt ogni metal detector perché il suo corpo è robotizzato da placche protesiche metalliche e tatuato da un’infinità di cicatrici-medaglia. È il più stimato della anticrimine ma ha deciso di lasciare la polizia. E, colpo di scena, vuole diventare femmina.
La vera novità sta nel fatto che non c’è nessuna ostentata femminilità nel raccontare il percorso fluidamente trans di Ji-wook, anzi, lo sguardo del regista – e la caratterizzazione stessa del personaggio – è quanto di più virile si possa immaginare: tanto più che il percorso del protagonista non è tanto da un sesso all’altro, quanto un andirivieni continuo fra essi, all’insegna di una fluidità realmente gender (o postgender?). Così Ji-wook, supportato da una frollata maîtresse trans, si fa dare lezioni di portamento da stangone intersex e iniettare ormoni da un medico più o meno clandestino. Ecco che L’uomo sui tacchi a spillo svela la sua anima gender anche stilisticamente: attraverso inserti melò-fiabeschi scopriamo che c’era stato per lui, da piccolo, l’innamoramento di un fragile compagno di scuola, finito tragicamente, in cui c’entra una ragazza che lui ha promesso di proteggere a vita.
Quindi, finalmente, si tratteggia un vero eroe gender né politicamente corretto né effemminato in stile pop-trash, rivoluzionando i codici di uno dei generi più viriloidi in assoluto, il poliziesco ad alto voltaggio action.
La confezione è professionalmente impeccabile, un tono di fondo malinconico dà profondità alla storia e alcune scene di massacro (vedi quella sotto la pioggia) svelano una sapienza registica degna del miglior King Hu.
In Italia non ci risulta pervenuta nemmeno la circuitazione nei tradizionali festival queer; qualche distributore avveduto dovrebbe acquistarlo e portarlo in sala al volo.
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