8 MILE: EMINEM PRO-GAY

Il rapper bianco più amato e odiato debutta al cinema in un ruolo semiautobiografico. E, sorpresa, prende le difese di un gay. Ma del film - campione di incassi anche da noi - si salva solo il regista

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Detroit e’ una delle città americane che non figura mai nelle prime posizioni delle località in cui sarebbe bello vivere. Grande polo industriale automobilistico, città grigia e piuttosto inquinata, inverni lunghi e freddissimi, benessere ed occupazione strettamente dipendenti dagli alti e bassi del mercato delle auto, tensioni sociali sempre al livello di guardia per il difficile convivere tra operai bianchi e neri.

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Insomma l’altra faccia dell’America, lontana sia dalla stimolante vitalità culturale di New York sia dalle calde notti californiane impregnate di glamour hollywoodiano.
Un nome del tutto anonimo come Jimmy Smith, detto Rabbitt (Eminem), per una vita dominata da estenuanti turni lavorativi in fabbrica, giri in macchina senza meta con gli amici, qualche sbotto di rabbia repressa sfasciando o incendiando una cosa qui ed una cosa là, qualche pomiciata tanto per scaricarsi. Il livello di alcool ingurgitato e’ direttamente proporzionale alla propria infelicità, come sa bene la madre del ragazzo (una brava Kim Basinger in versione super-sciatta, scapigliata e senza trucco) con la quale i battibecchi si fanno sempre più frequenti e violenti.

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Il sogno del ragazzo e’ quello di rivaleggiare in bravura coi rapper neri che dominano il circuito dei locali nei quali si fa musica, duellando a colpi di rime vertiginose. Gli inizi non sono affatto confortanti ma con la testardaggine che contraddistingue i veri inseguitori del Sogno Americano volete che il nostro povero ma bello non riesca nel suo intento?
In fin dei conti e’ pur sempre Hollywood. Che sia il ring di Rocky, la sala da ballo di Tony Manero o la scuola di danza di Flashdance, il ricorso alla figura del proletario sfigato in cerca di riscatto alla fine non passa mai di moda. Lo stesso si può dire del ricorso da parte dell’industria cinematografica all’uso di cantanti più o meno famosi per confezionare pellicole in grado di capitalizzare sulla notorietà del personaggio. In passato ci sono stati Frank Sinatra, Elvis Presley, giù fino a Mariah Carey. In Italia abbiamo avuto i nostri Morandi e Ranieri. Ogni generazione ha avuto i propri film di questo genere, adesso e’ la volta di Eminem. Niente di cui sorprendersi.

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Sdoganato per le tele-masse italiane da Mamma Carra’ in un Saremo di pochi anni fa’ (“poverino, ha avuto una vita tanto difficile…”) ecco Mister “Dico Quello Che Mi Pare, Quando Mi Pare E Come Mi Pare E Piace” adocchiato dalla scintillante Hollywood che ha pensato bene di costruirgli su misura un film nel quale possa esibire le sue doti canore (…vabbe’, si fa per dire) cercando di dimostrare di saper anche recitare. L’incubo su celluloide che potenzialmente poteva uscirne e’ fortunatamente evitato grazie al fatto che dietro la macchina da presa si e’ insediato un regista niente affatto dozzinale come Curtis Hanson (L.A. Confidential) che e’ riuscito a tenere ben fermo il baricentro dell’opera, bilanciando egregiamente l’evidente aspetto commerciale del fare un film come questo facendolo interpretare da un Eminem, con la volontà di raccontare una storia dalle forti connotazioni anche sociali. Un lungometraggio che cercasse – se non altro – di non cadere trappola dell’autocelebrazione del cantante di successo ed illustrasse una realtà di degrado ed emarginazione che poi e’ strettamente collegata alla nascita stessa del fenomeno dell’hip hop.

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Il copione scritto da Scott Silver (già autore di Johns, film drammatico su un gigolò) e’ di buon livello e riserva qualche sorpresa: i testi spesso razzisti ed omofobi di tanti rappers vengono criticati, così come il ricorso all’uso delle armi tanto in voga tra le varie bande d’oltreoceano. Eminem ad un certo punto prende anche le difese di un suo collega di lavoro gay e alla fine promuove intelligentemente il concetto quanto sia più ricca, sfaccettata e in definitiva soddisfacente una società multirazziale che tende all’integrazione invece che alla divisione e separazione.

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Siamo ben al di sopra delle pellicole dei divi canterini di cui si parlava prima. 8 Mile e’ un robusto film drammatico immerso in una livida Detroit crudelmente scolorita dall’ottimo direttore della fotografia Rodrigo Prieto (Amores Perros) che ben rende e cerca di inquadrare e spiegare la grande rabbia di un uomo qualunque, che e’ poi quella che certamente accomuna il protagonista del film al personaggio che ben interpreta. Certo che se detestate l’hip hop vi aspettano 91 minuti di sofferenza acustica e può essere preso in considerazione il ricorso ai tappi per le orecchie. Per tutti gli altri, fan di Eminem in testa, il film si rivelerà a conti fatti una piacevole sorpresa.

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