Un nuovo studio UK potrebbe riaccendere il dibattito sull’inclusione delle persone trans nello sport, rivelando che, al contrario di quanto sostengono alcun*, l* atlet* non cisgender potrebbero trovarsi in situazione di parità, se non di svantaggio, in determinate discipline sportive.
La ricerca, recentemente pubblicata sul British Journal of Sports Medicine, ha analizzato le performance di 75 atlet* transgender e cisgender, confrontando forza, potenza e capacità aerobica tra i due gruppi.
Finanziato in parte dal Comitato Olimpico Internazionale (CIO), il team di ricercatori ha condotto lo studio su 23 donne e 12 uomini trans che avevano seguito più di un anno di terapia ormonale, oltre a 21 donne e 19 uomini cis. L* partecipanti sono stat* sottopost* a test cardiovascolari, di forza e a esercizi di resistenza muscolare.
Contrariamente a quanto sostenuto da TERF e i transfobici, che sostengono vi sia uno svantaggio assoluto per le donne cisgender nelle competizioni contro le donne transgender, si è osservato come le donne trans mostrino talvolta prestazioni inferiori rispetto alle loro coetanee cis in alcuni test cardiovascolari, e una ridotta forza nella parte inferiore del corpo. È emerso inoltre che la densità ossea delle donne transgender è paragonabile a quella delle atlete cis, e che la loro funzionalità polmonare sia inferiore.
I ricercatori hanno sottolineato come queste differenze evidenzino quindi “l’inadeguatezza di utilizzare gli atleti maschi cisgender come parametri di riferimento per le atlete transgender“.
Tratte le conclusioni, gli autori hanno quindi esortato gli organi governativi in ambito sportivo a riconsiderare i divieti imposti alle donne trans nella partecipazione agli sport femminili, in essere nonostante la mancanza di un’approfondita ricerca preliminare. Nonostante i rilevamenti aggiungano un elemento fondamentale al dibattito, sarà infatti ancora necessario uno “studio longitudinale a lungo termine“.
“Il messaggio principale da trarre è che le federazioni sportive internazionali devono trattare le donne trans in modo significativamente diverso rispetto agli uomini cisgender.” ha spiegato ad Out Sports il professor Yannis Pitsiladis – ricercatore capo. “Di conseguenza, qualsiasi ricerca che adotta un approccio diverso risulta irrilevante in questo dibattito, e non dovrebbe essere utilizzata per formulare politiche, come fanno molti ‘professori da poltrona’ che appoggiano la posizione di un divieto predefinito.”
Lo studio si colloca in un periodo storico in cui un movimento anti-trans diffuso dentro e fuori dall’ambito sportivo mira a limitare la partecipazione delle persone transgender nello sport, a livello di èlite – ma anche dilettantistico e scolastico. Secondo il Movement Advancement Project, diverse federazioni sportive internazionali, insieme a 24 dei 50 stati USA hanno infatti già introdotto numerosi divieti che impediscono agli studenti trans di partecipare allo sport in linea con la loro identità di genere.
“Le donne trans che competono negli sport femminili non rappresentano una minaccia per l’intero ambito sportivo femminile. Le donne trans costituiscono una frazione molto piccola dell’intera popolazione atletica – aveva spiegato Lia Thomas, nuotatrice transgender, in risposta alle critiche sulla sua vittoria al campionato femminile nazionale NCAA Division – Le regole della NCAA che regolamentano la partecipazione delle donne trans negli sport femminili sono in vigore da oltre dieci anni. In tutto questo tempo, non abbiamo assistito a un dominio massiccio da parte delle atlete trans. Il nostro focus è sulla felicità, sull’autenticità e sul vivere come il nostro vero io. La transizione per ottenere un vantaggio non influisce sulle nostre decisioni.”
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