“Ho lasciato il mio ragazzo perché non c’era affinità mentale ma penso solo a lui, che faccio?” – la Posta di Casto

Immanuel Casto ha così replicato al quesito posto da Luna, combattuta sul da farsi dopo aver troncato una relazione che credeva fosse senza futuro. Sbagliando?

"Ho lasciato il mio ragazzo perché non c'era affinità mentale ma penso solo a lui, che faccio?" - la Posta di Casto - posta casto 2 - Gay.it
4 min. di lettura

La Posta ad Immanuel Casto

Ciao Immanuel,
ho lasciato il ragazzo con cui stavo da due anni perché anche se l’attrazione fisica c’era (come c’erano rispetto, dolcezza e premure reciproche), non trovavo affinità a livello mentale.

Non è che non ci andassi d’accordo, ma non trovavo stimolanti i suoi ragionamenti che, senza fargliene una colpa, reputavo piuttosto acerbi, poco strutturati o profondi.

Alcune volte arrivavo a vergognarmi di certe sue frasi che facevano capire la mancanza di informazione riguardo all’argomento. Quando l’ho notato mi sono sentita molto in colpa nel pensare queste cose e ho cercato di portare avanti la relazione in nome dei tanti altri suoi pregi e del bene che gli volevo.

Non è bastato e ho deciso di troncare. Tuttavia è sorto un problema: mi trovo a soffrire il distacco come se fossi stata io la persona lasciata e non ne trovo il senso. Dopo quasi un anno non riesco a guardare le sue foto. A volte mi scrive ancora e faccio fatica a rispondere, se lo sogno piango, se lo vedessi con un’altra ne soffrirei.

la mia testa sa che non c’è futuro con lui perché per me è importante l’affinità mentale, ma perché dunque reagisco con tutto questo dolore quando penso a lui? Qualcuno mi ha detto che l’intesa si costruisce assieme, quindi vivo nel dubbio di essere in errore e mi sento una persona orribile per aver rifiutato un ragazzo fantastico “solo” perché secondo me invece possono cambiare i punti di vista crescendo assieme, ma la vera intesa sotto deve essere già molto buona.

Mi sarebbe di grande aiuto il tuo punto di vista.
Un saluto affettuoso,
Luna.

La risposta di Immanuel Casto

Carissima Luna,
comprendo profondamente il dolore, avendo vissuto (più di una volta!) qualcosa di simile.

Cominciamo contestualizzando il problema: per quanto semplicistico, io uso spesso il modello del triangolo equilatero per descrivere la solidità di un rapporto romantico. Ogni vertice rappresenta un aspetto fondante della relazione e più saldi sono i vertici, tanto più resistente sarà la relazione.

Il primo vertice è la sessualità, quindi l’attrazione fisica e la chimica.
A letto ci si incontra e ci si ritrova. Almeno finché non ci si avvia verso la terza età, è molto difficile che un rapporto in cui non si fa più sesso duri nel tempo (o a meno di radicali trasformazioni).

Il secondo vertice è l’impegno, ossia la determinazione ad affrontare insieme le sfide che tutte le coppie – inesorabilmente – incontrano, specie sulla lunga durata. Il desiderio di costruire qualcosa assieme.

Il terzo vertice è l’affinità mentale. Il riconoscersi tra spiriti affini. La condivisione di valori, ma soprattutto l’esistenza di un dialogo che sgorga spontaneo. Che è poi l’aspetto fondamentale di un’amicizia.

Io credo che ogni relazione abbia un angolo debole; ma finché si parla di debolezza (e gli altri due sono particolarmente saldi), la relazione resta in piedi. Ma se un vertice è completamente assente, non abbiamo più un triangolo e la relazione va in pezzi.

Come hai spiegato molto bene, nel vostro rapporto mancava il terzo vertice, per te particolarmente importante. Ponendola in modo brutale, se non fosse stato per l’interesse romantico, non sareste neppure diventati amici. Perché non avreste avuto granché da dirvi.

Quando hai parlato di ‘vergogna’ nel sentirlo fare certe affermazioni, o certi ragionamenti, qualcosa è risuonato in me, perché è esattamente ciò che ho provato nella stessa situazione. Ma parlo persino di vergogna verso me stesso.

Ricordo perfettamente le avvisaglie, che si manifestano solo quando il fuoco dell’innamoramento iniziale si spegne, consentendo di vedere l’altro per quello che è. Ricordo di averle negate a me stesso. Eppure c’erano.
Un brivido freddo di consapevolezza. Ciò che non riuscivo ad ammettere è che io non avevo una reale stima dell’altra persona. Secondo i miei personali criteri, non la reputavo davvero intelligente.

E rendermene conto mi ha fatto vergognare di me stesso: perché stavo in una relazione che non mi avrebbe fatto crescere e, soprattutto, stavo ingannando l’altro.

Ma tutto questo lo sai fin troppo bene.
Quello che non riesci a capire è perché tu ora stia soffrendo così tanto.

Dall’esterno invece a me appare perfettamente comprensibile.
Rifiutare l’amore non è mai facile. Ne abbiamo tutti e tutte tanto bisogno e quando ci viene offerto in un abbraccio pieno di desiderio, rinunciarci può fare terribilmente male.

È più che naturale che ti manchi la vostra routine e la sua presenza. Non negare questa sofferenza, ma affrontala. Di fatto stai metabolizzando un lutto: la scomparsa nella tua vita di una persona cara e la fine di una relazione in cui hai creduto.

Ma di un lutto, per l’appunto, si tratta. Qualcosa che ha cessato di esistere.
Non cadere nel tranello di pensare che se ti manca, allora la relazione aveva una possibilità. Se ci si è amati, l’altra persona continuerà a mancare.

Quello che devi chiederti è “Io vedo questa persona nel mio futuro? Mi vedo crescere al suo fianco?”. E lo stai facendo.

Luna, ci vorrà tempo, ma io ho fiducia che tornerai a stare bene.
Non ti esorto di certo a gettarti in un’altra relazione per evadere dal tuo dolore, ma ti invito a coltivare la consapevolezza che il tuo più grande amore è quello che deve ancora arrivare. Hai imparato, a caro prezzo, qualcosa di te stessa e questo insegnamento ti aiuterà a scegliere relazioni più adatte a te.

Un abbraccio,
Manuel

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