Sapere di non sapere è un concetto socratico che risale agli albori del pensiero filosofico. Ma è anche una delle libertà più terrificanti ed entusiasmanti, ed è parte dell’esperienza queer.
Quando riusciamo a guardare a noi stessi in un ottica scevra di pregiudizio e sovrastrutture, talvolta possiamo arrivare alla conclusione che la nostra identità è definibile attraverso i parametri che ci sono stati forniti in ambito di orientamento sessuale e identità di genere.
Talvolta, invece, quell’identità è così capricciosa, fluida e incontenibile che ci scivola dalle mani, che schiva la tela su cui tentiamo di dipingerla con la tavolozza delle categorie che conosciamo. Pronomi e orientamenti non bastano, o meglio, diventano una soddisfazione temporanea.
La verità è che il nostro cervello funziona per incastri. Quei rilassanti e soddisfacenti video che ci troviamo a scorrere per ore su TikTok, di pastelli messi in ordine per colore, di tasselli che combaciano perfettamente all’interno di uno spazio misurato al centimetro, ne sono la dimostrazione lampante.
E tendiamo a farlo anche con le persone. Categoriziamo gay, lesbiche ed eterosessuali in mobiletti distinti, persone non binarie da una parte, persone transgender dall’altra, asessuali in uno scaffale, panromantici e pansessuali in due ripiani diversi e così via.
Per questo il concetto di questioning è così disruptivo – seppur si tratti, ancora una volta di categorie – tanto da essere spesso confuso con il queerbaiting. Lo stesso termine sembra implicare un’identità in divenire. Un qualcosa che prima o poi dovrà essere per forza collocato da qualche parte. E se non fosse così?
Diverse celebrità hanno scelto di navigare quest’apparente incertezza con serenità e autenticità.