Roberto Chiovitti ha scoperto la passione per la fotografia a 18 anni e oggi i suoi scatti compaiono regolarmente su tantissimi magazines italiani e stranieri. Recentemente la sua bravura lo ha fatto diventare uno dei pochi fotografi italiani a cui l’editore Gmuender ha dedicato una monografia. "Disclosed Desires" è una raccolta di foto omoerotiche che puntano sul lato più trasgressivo e feticistico della sessualità gay: leather, sottomissione, bondage, esibizionismo e quant’altro, per svelare provocatoriamente un aspetto del desiderio omosessuale che spesso è considerato un tabù dagli stessi gay. Per conoscere meglio Roberto Chiovitti, il suo lavoro e il suo punto di vista abbiamo pensato di fargli direttamente qualche domanda.
La stragrande maggioranza dei tuoi modelli sono italiani, ma la loro sensualità contrasta molto con i gay proposti dai media: tu fai fatica a trovare certi soggetti o sono i media italiani che filtrano?Mi piace trovare modelli che rispecchino la mia visione di bellezza e che suscitino in me curiosità non solo per il loro aspetto fisico ma anche per il loro modo di essere. Nelle foto difatti non cerco la posa plastica da statua greca o perfetti depilati, ma cerco quel qualcosa in più che solo chi ha personalità e consapevolezza di sè sa darmi. Molti quindi sono italiani perchè vivendo in Italia mi è più congeniale. Faccio fatica a trovare i soggetti più che altro perchè non tutti sono disposti a posare per delle foto. I porno attori sono la sessualità pura. Per quello mi piace fotografarli. È liberatorio vedere qualcuno che non ha problemi a mostrarsi senza remore. I media purtroppo associano il gay ai luoghi comuni per fare scena! Di esempi ne abbiamo a bizzeffe, ma questo stereotipo è fastidioso e controproducente. Esistono i gay maschi e maschili in tutto e nelle mie foto vorrei che si percepisse questo oltre alla bellezza dei modelli.
Tu firmi le copertine più sensuali di For Men,che ufficialmente non si rivolge ai gay, ma che con i tuoi scatti spera evidentemente di attirarli, e allo stesso tempo lavori per la stampa gay estera: ti poni in maniera diversa a seconda dei casi? Devo essere consapevole del pubblico di riferimento, quindi devo ottenere un risultato che corrisponda alla mia visione, ma anche a ciò che si aspetta il direttore o il photoeditor. Ovviamente tendo a metterci sempre del mio, ma senza esagerare quando si tratta di riviste a grande diffusione. Non so quanto puntino davvero sui gay: gli articoli sul sesso, per esempio, sono sempre molto etero e non ci sono mai argomenti del tipo "guardando il mio compagno di spogliatoio mi eccito" o spazi che affrontino in qualche modo il mondo gay, anche solo per pura divulgazione. Magari è una forma di omofobia, non so, ma definirle cripto-gay forse è eccessivo.
L’erotismo gay che catturi in questo libro è abbastanza forte: è una questione di gusti personali o volevi lanciare un messaggio?
Mi sono lasciato guidare dal mio istinto primario. Volevo cogliere un aspetto della mia sessualità e di quella dei ragazzi che hanno posato. Li ho trasformati in leathermen o in fetish addicted e volevo che attraverso quegli accessori venisse fuori una parte nascosta mia e loro. Io non so come mi comporterei in certe situazioni ed è bello mettersi alla prova. Anche se in questo caso si trattava solo di foto e infondo era solo un gioco simulato. Il fatto solo di indossare un accessorio di pelle cambia già la percezione che hai di te stesso! Mi piace pensare che in realtà ognuno di noi non ha limiti e barriere, ma è solo la nostra testa a crearli.
Secondo te perchè nel nostro paese ci sono così pochi spazi per valorizzare la fotografia e l’arte omoerotica? Perchè l’Italia è piena di froci, ma nessuno lo è! Troppi se la vivono ancora nell’anonimato, come se fosse un reato. Sono tutti santi e hanno bisogno di andarsene a Berlino o a Barcellona per liberare l’animale in gabbia! Non pensano a crearle qui quelle stesse situazioni! Siamo provinciali. È questo il motivo per cui non si muove nulla. Inoltre in un paese dove le associazioni lgbt litigano tra loro per organizzare un Pride si capisce a che livelli siamo.
di Valeriano Elfodiluce
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