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Chiamami col mio nome: quando le persone trans si raccontano come vogliono

Al PAC di Milano una mostra fotografica che destruttura gl stereotipi e cambia lo sguardo sulle storie trans: dal pietismo all'empowerment.

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Se dal 7 Ottobre al 5 Novembre passate per Milano, fate tappa al PAC: è in mostra presso il Padiglione dell’Arte Contemporanea Chiamami col mio nome, nuovo progetto fotografico di RI-SCATTI (associazione di volontariato che dal 2014 realizza progetti riscatta le comunità marginalizzate attraverso la fotografia) a cura di Diego Sileo e in collaborazione con l’Associazione per la Cultura e l’Etica Transgenere (ACET) e l’Associazione ALA Milano.

Ma mettete da parte le narrazioni pietistiche e spettacolarizzate che piacciono tanto al pubblico cisgender: alla pornografia del dolore, il progetto preferisce rendere le persone trans protagoniste, permettendo loro di raccontare quello che desiderano, come desiderano.

Un lavoro di tre mesi che vede il coinvolgimento di ogni partecipante, e come spiega Guglielmo Giannotta di ACET Milano, alla massima libertà espressiva accompagna un fil rouge comune: “Il corpo; un corpo politico, che non chiede di essere accettato o convertito, bensì ascoltato e riconosciuto nella sua libertà di autodeterminarsi in quanto tale“.

È proprio questa la chiave di volta della mostra: se ognunə decide per il proprio corpo, può decidere anche come raccontarlo, in pieno controllo della propria storia.

Noi ci occupiamo di politica, cultura ed etica e l’arte è il perfetto contenitore delle varie sfaccettature che ci contraddistinguono come associazione” ci dice Giannotta “ə ragazzə di ACET che hanno partecipato non solo hanno saputo davvero rendere l’arte politica ma soprattutto che, attraverso le loro immagini, sono riuscitə a raccontare le istanze di un movimento, che vede le persone trans nell’ottica dell’empowerment e non del pietismo, decostruendo una narrazione sbagliata che da fin troppi anni grava su di noi. Raccontare così tanto in uno scatto è estremamente difficile, loro ci sono riuscitə“.

Alle fotografie, il progetto ha affiancato anche spazi educativi sui temi e le istanze della comunità transgender in Italia, con tanto di pannelli che ripercorrono la storia del movimento nella città di Milano, dagli inizi ad oggi: “Cosa molto importante” sottolinea Giannotta “Perché la storia della comunità trans è prevalentemente orale e comunque più in generale non è mai stata raccontata in uno spazio espositivo istituzionale, sia un glossario contenente le parole più utilizzate dalla comunità trans”.

Chiamami col mio nome si pone l’obiettivo di decostruire gl stereotipi e spera di smussare lo sguardo di chi guarda, prestandolo ad una visione finalmente stratificata, passando dal pietismo all’empowerment: “Ovvero nel momento in cui passeranno dal vederci come delle povere persone con disagio nate nel corpo sbagliato a persone che affrontano sicuramente più difficoltà della media ma le cui difficoltà sono principalmente dettate dalla mancanza di tutele e diritti” dichiara Giannotta, concludendo: “Saremmo soddisfatti se la mostra riuscisse a trasmettere alle persone che la cosa da aggiustare non siamo noi, ma le procedure che regolamentano le nostre vite grazie alle quali, benchè paghiamo le tasse come tutti gli altri, abbiamo l’accesso garantito a un decimo delle cose, molte delle quali, as far as I can remember, sono previste dalla Costituzione”.

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