Foto in evidenza: EPA (The Guardian)
Patti Smith è un nome che non richiede presentazioni.
Cantautrice, musicista, poeta, scrittrice, e visual artist, la sua è un’eredità con cui tutte le rockstar devono fare i conti. Antidiva fino al midollo, Smith stavolta non si affida né alle parole né alla musica per raccontarsi, ma alle immagini: A Book of Days (Passaggi Bompiani) è il suo libro fotografico che ripercorre la propria storia attraverso polaroid che sembrano replicare la palette del suo (bellissimo) profilo Instagram e trasferirlo su pagina.
Se c’è un modo per fermare il tempo e non perdere le memorie per strada, Patti Smith l’ha trovato. Ogni fotografia immortala attimi, esperienze, momenti e luoghi, che mescolano morte e vita, privato e pubblico, come una lettera d’amore ai protagonisti dei suoi ricordi: Nelson Mandela Jimi Hendrix, Arthur Rimbaud, John F. Kennedy, il compagno di vita Robert Mapplethorpe, sua madre, e tanto altro.
Una controcorrente sin dagli esordi, quando sulla cover del primo album Horses (1975) si presentava in abiti da uomo, androgina e incatalogabile (lo specificava anche nella nota di copertina: oltre il genere). In un’intervista con il Corriere della Sera, a cura di Luca Mastrantonio, racconta che oltrepassava i binari di genere già da bambina, quando sognava il costume “da pattinatore sul ghiaccio che avevo visto in un piatto di mia madre”.
Visualizza questo post su Instagram
“Io ho i miei lati maschili e quelli femminili, che per esempio mi hanno permesso di essere madre, moglie. Posso cantare una canzone d’amore molto tenera, oppure recitare una canzone rock molto maschile, come Gloria” dice nell’intervista. Ma davanti la rivoluzione di genere e sessuale della nostra epoca, oggi come cinquant’anni fa, Smith non ha molto d’aggiungere alla conversazione: si definisce una donna eterosessuale, sempre stata con uomini, e poco fan delle etichette.
“Che pronome usi?” “Sei questo o quello?” “Sei bisessuale?” “Sei femminista?” “Sei una cantante donna?” “Sei un’artista donna?” No, sono un’artista” risponde, specificando che non vuole essere definita un’artista donna più di quanto “Marcel Duchamp sia etichettato come maschile o Raffaello un artista uomo“.
Nell’intervista Smith ha parlato anche dell’amico, amante, confidente Robert Mappleethorpe, apertamente gay e pioniere della fotografia queer anni ’70: “È stato difficile da elaborare” racconta l’artista, riferendosi al momento in cui Mapplethorpe le ha detto di essere gay “Abbiamo attraversato tristezza, rabbia, accettazione e poi abbiamo cercato di tornare ad essere fidanzati, ma niente. Dopo un anno, mi ha detto che era sicuro, e io l’ho capito, processato. Siamo restati amici, l’arte ci ha aiutato. Lui è stato la prima persona a credere in me come artista. E io in lui. Non volevamo perderci. Siamo rimasti molto vicini, fino alla sua morte”.
Oggi per Patti Smith non sono l’orientamento o l’identità di genere a definirci, ma le nostre azioni, e come ci comportiamo con la Natura e gli altri. “Quello che conta è la libertà” sottolinea, prendendo come esempio proprio il suo rapporto con l’ex compagno, a cui si sente ancora molto vicina: “La sua sessualità, che mi ha coinvolto, non era la cosa più importante” dice Smith “Le cose più importanti erano la sua gentilezza verso di me e il suo amore per l’arte”.