Il regista Dirk Shafer non aveva mai partecipato a un evento del “circuit“; così, quando nel 1996 entrò nel White Party di Palm Springs, rimase sconvolto: «mi guardavo intorno e pensavo: wow, è così forte, così visivo, e così contraddittorio, non posso credere che nessuno abbia mai pensato di farci un film».
E così decise di farlo lui: nel 2001 esce Circuit, secondo film di Dirk Shafer, ora distribuito in DVD nella collana Queer della Dolmen-E.Mik, e in vendita anche su Cleptomania.
I circuit, intraducibile moda americana, sono una serie di mega-feste dedicate al mondo gay, nate con lo scopo di raccogliere fondi per la lotta all’Aids.
In realtà, sono diventati nel corso degli anni degli eventi affollati di giovani palestrati, gonfi di steroidi, che si lasciano andare ad ogni sorta di eccesso nel consumo di stupefacenti e di sesso, spesso non sicuro. L’evento clou del “circuit” è il famoso “White Party”, diventato anche da noi sinonimo di divertimento sfrenato e senza limiti.
In “Circuit”, Dirk Shafer segue le vicende di John, un giovane poliziotto della provincia americana (Jonathan Wade Drahos, sorprendentemente somigliante allo stesso Shafer) che, stanco delle continue discriminazioni sul lavoro, decide di trasferirsi a Los Angeles.
Qui diventa amico di Hector (Andre Khabbazi), una marchetta con l’ossessione della chirurgia estetica e della eterna giovinezza. Seguendo il suo esempio, l’ex bravo ragazzo comincia a sperimentare droghe sempre più pesanti, a frequentare i locali ogni sera e ad assumere anabolizzanti per gonfiare la muscolatura. In un crescente delirio, John si commisura con una vita divertente, affascinante, e ricca di successi personali, ma che rischia di portarlo molto lontano da se stesso.
Uno dei più grandi pregi del film è quello di evitare di calcare la mano sulla morale: il regista vuole che lo spettatore si formi le sue opinioni sul mondo delle feste del circuit. «Ciò che contava per me era raccontare la verità» dice Shafer, che arrotonda i suoi compensi di regista con una carriera da personal trainer (Eric McCormack di Will & Grace è un suo cliente), e che ammette che la sua idea di divertimento è andare al massimo a una o due feste del circuit in un anno. «Non posso star qui a dire ‘Lo detesto, nessuno dovrebbe farlo’ perché io mi ci sono divertito».
«Mi affascinano le persone che restano invischiate in questo mondo» dice Shafer, che nel ’97 ha scritto, diretto e interpretato la commedia-documentario “Man of the Year” in cui narra la sua vita da gay velato nominato “Uomo dell’anno” della rivista Playgirl (rivista di uomini nudi per un pubblico femminile). «Ma il film – prosegue – non parla solo del circuit stesso; parla dei gay che vogliono essere sicuri di sé, belli, accettati e che credono che le droghe li aiutino a sentirsi così»
A sentir Shafer, la sua sfida più difficile durante le riprese sono state le scene di sesso gay tra i due protagonisti, entrambi eterosessuali:
«Ho dovuto essere molto clinico. Non potevo dire ‘spalancagli quel bel culetto sodo’, ma dovevo dire qualcosa tipo ‘metti la tua mano destra sul suo gluteo sinistro e tira’. Mi sentivo come un dottore».
Cosa spera che lo spettatore ricavi da Circuit? «Penso sia importante che le persone si guardino dentro e sviluppino gli altri aspetti di sé oltre al corpo, come il talento o il senso dell’umorismo. In fin dei conti, è questo che ti porta felicità, non necessariamente la soddisfazione di essere belli».
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