Dopo aver visto il perfetto film "Milk", mi sono sentito a disagio per non avere il coraggio di dichiarare la mia omosessualità, pur avendo una forte attenuante: sono sposato e padre di 4 figli, con un elevato senso di responsabilità. Situazione, questa, che mi fa sentire un ‘diverso’ fra i ‘diversi’, schernito anche da alcuni gay. Gradirei un commento in merito.
Alla mail del lettore, anticipata la scorsa settimana, hanno
risposto come previsto (noi gay non siamo sempre indifferenti) in molti. Già sul forum qualcuno paragonava quell’esperienza alla propria, causata da "una non adolescenza" che lo ha portato a "fingere di essere normale", sposarsi e mettere al mondo una figlia. Ho sofferto e ho fatto soffrire chi mi stava vicino. Ma ho tirato fuori la testa dal sacco e oggi posso scrivere con orgoglio di essere gay e di avere come veri amici la mia ex moglie e mia figlia di 19 anni.
Se molti invitano alla trasparenza, mettendo però sempre in primo piano l’interesse dei figli, secondo qualcuno invece sarebbe facile ed egoistico! Uno shock così non lo meritano tua moglie e soprattutto i tuoi figli. Troppo facile dire: signori mi sono sbagliato. Per un altro l’unica cosa da fare è continuare ad avere la tua vita standard e ad essere quanto più discreto possibile con eventuali amanti.
Mi scrive invece il giovane Fabrizio, che con onestà non se la sente di dare un consiglio, perché sono ancora un figlio e non capisco cosa voglia dire essere padre. Pone però una domanda: Questo senso di disagio lo hai provato solo dopo aver visto Milk? Se no, se già dentro di te più volte ti sei chiesto cosa fare, allora meglio la verità, tutta, subito; più passa il tempo, più è difficile e più potrebbe creare dolore.
Ma chi si trova in situazioni analoghe pensa non si possano prevedere le conseguenze delle proprie azioni, nemmeno quando è lancinante il dolore che deriva dal sentire di aver fatto la scelta sbagliata…dal guardare la tua famiglia e i tuoi figli e sentirti fasullo. Ma la vita non è una fiaba a lieto fine. I figli soffrono in una separazione, e non hanno colpe. Io non ho una ricetta, ma ho trovato il coraggio di parlarne con mia moglie e con uno psicoterapeuta. Poi non so dove mi porterà questo.
Molto più articolata l’analisi, in apparenza distaccata, di "Pucciolo", che vale la pena riportare quasi per esteso: Premesso che non è secondario che si tratti di "circostanze i cui dettagli ignoriamo", cerchiamo comunque di vederlo come espressione di un caso più generale. Direi che l’interessato è una persona combattuta da opposte esigenze: la famiglia da un lato (che a sua volta si distingue in due problemi di natura diversa: il rapporto con la moglie e la crescita dei figli) e il proprio equilibrio psico-fisico dall’altro. L’interessato, al momento, per il bene dei figli ha deciso di rinunciare a se stesso. Io credo che il compito primario per chi ha messo al mondo dei figli (1 o 4 fa lo stesso, cambia solo la quantità di tempo necessaria) sia di aiutarli a crescere: non solo un bisogno materiale, ma una presenza, cosa più difficile e impegnativa, ma anche la vera cosa importante. E questo è il centro del problema. Se il genitore non ha risolto il problema della propria identità, che esempio potrà mai essere per i figli; quale autorevolezza riuscirà ad esprimere? Allora, credo che quel genitore debba cercare comunque di coltivare i propri interessi, anche sessuali, pur con il dovuto tatto e con la fatica di inventarsi spazi alternativi. Oggi c’è internet, strumento eccezionale. Conosco ottimi padri di famiglia che hanno così superato la propria schizofrenia, in alcuni casi con una vera e propria rinascita che, partendo dall’abbandono dei tremendi quanto inutili sensi di colpa, ha portato alla riscoperta del piacere di vivere fino ad arrivare a una nuova intesa con la moglie (pur continuando a tenere un rapporto strettissimo col partner del proprio sesso). Lo so, è difficile, ma è affrontando le battaglie della vita che l’organismo si fortifica e la psiche trova pace con se stessa e quell’equilibrio irrinunciabile. Ci si può riuscire. Auguri.
Forse non tutti condivideranno un’analisi tanto spietata. Fatto sta che si tratta di una situazione estrema di coming out ma, a differenza del caso dei figli che devono dirlo ai genitori, in questo caso una responsabilità di fondo esiste. Un figlio non promette nulla ai genitori, mentre un marito promette qualcosa alla moglie e, indirettamente, anche ai figli. Visto che però non viviamo in un mondo ideale e che è meglio tardi che mai, mi pare che le differenti soluzioni contengano un principio comune.
Si tratta, innanzitutto, di salvaguardare i figli e, in secondo luogo, la donna che si è sposata e con la quale quei figli (in quel caso quattro, non uno…) sono stati fatti. Ma anche di mantenere o addirittura ricreare un proprio equilibrio psicofisico che consenta di mettere in pratica i primi due punti. Poco cambia che questo derivi da una relazione vissuta alla luce del sole o da uno o più rapporti clandestini.
Perché sono d’accordo che la verità (meglio tardi che mai) è fondamentale. Ma si deve trattare di una verità utile non solo a se stessi (Troppo facile dire: signori mi sono sbagliato). Un po’ come i coming out dei figli coi padri o coi nonni, bisognerebbe chiedersi: quanto è fondamentale per me dirlo? Quanto li farà soffrire? Quanto sarà utile per il nostro futuro comune? Non esiste una risposta unica e sempre valida. Ognuno deve trovare la propria, quella adatta al contesto in cui vive, con coraggio e una buona dose di altruismo, ma senza dimenticare quanto sia importante avere i propri spazi e una fonte di energia alla quale potersi ricaricare per affrontare i problemi che ci pone la vita. E che a volte ci poniamo da soli.
Flavio Mazzini, trentacinquenne giornalista, è autore di Quanti padri di famiglia (Castelvecchi, 2005), reportage sulla prostituzione maschile vista "dall’interno", e di E adesso chi lo dice a mamma? (Castelvecchi, 2006), sul coming out e sull’universo familiare di gay, lesbiche e trans.
Dal 1° gennaio 2006 tiene su Gay.it la rubrica Sesso.Per scrivere a Flavio Mazzini clicca qui
di Flavio Mazzini
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