“Dare voce direttamente alle persone disabili” intervista a Simone Riflesso

Si celebra oggi la Giornata internazionale delle persone con disabilità.

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Simone Riflesso Gay.it
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Il 3 dicembre si celebra la Giornata internazionale delle persone con disabilità. L’origine della celebrazione, indetta dalle Nazioni Unite nel 1981, si inseriva all’interno di un piano più ampio dell’ONU che prevedeva di dare a tutti Paesi del mondo la possibilità e il tempo per definire un piano d’azione nazionale per garantire alle persone con disabilità le pari opportunità che ancora oggi, purtroppo, non sono state pienamente raggiunte.

Il 1981 si è trasformato nell’Anno internazionale delle persone con disabilità e per i dieci anni successivi le Nazioni Unite hanno deciso di istituire il Decennio delle persone con disabilità, per permettere ai vari Paesi di uniformarsi a quello che, dopo un’assemblea ufficiale, è stato definito il Programma d’azione mondiale per le persone con disabilità.

Simone Riflesso Gay.it
Simone Riflesso, atleta e attivista

Dal 1992 a oggi la Giornata internazionale delle persone con disabilità si è svolta annualmente, con il motto “Un giorno all’anno tutto l’anno”: una giornata per fare il punto sulla situazione dei diritti delle persone con disabilità e un interno anno per muoversi e agire di conseguenza. L’obiettivo è quello di porre l’accento sul tema del diritto universale, cioè per garantire anche alle persone con disabilità gli stessi diritti e opportunità di tutte le altre persone, e sull’abilismo, tema che recentemente è tornato centrale per l’opinione pubblica, soprattutto dopo le discussioni intorno al DDL Zan.

In questa Giornata internazionale delle persone con disabilità, abbiamo chiesto a un’attivista di raccontarci la sua esperienza e le sue opinioni sull’attuale situazione dei diritti delle persone con disabilità in Italia. Simone Riflesso si descrive come “content creator disabile, graphic designer, copywriter, illustratore, social media manager, pensionato, atleta e combattente che veste alla marinara”. Sul suo profilo Instagram racconta la sua vita su ruote e combatte contro l’abilismo e l’oppressione nei confronti delle persone disabili. Ecco cosa ci ha raccontato.

 

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Qual è l’urgenza più impellente che ti viene in mente?

Se guardo ai dati è sicuramente togliere dall’isolamento e dalla segregazione le persone disabili non autosufficienti e quindi più vulnerabili. Garantire alle persone disabili e autistiche il diritto a una vita indipendente e all’autodeterminazione, allo scegliere con chi e dove vivere e come poter sviluppare pienamente il proprio potenziale e poter partecipare alle attività della società come chiunque altro. Dobbiamo poter uscire di casa, e per questo servono eventi e luoghi accessibili e inclusivi, pensati per chiunque. 9 persone disabili su 10 non sono soddisfatte della propria vita sociale, dicono di non partecipare a eventi pubblici come andare a teatro, ai concerti, musei, al cinema almeno una volta all’anno. Ci credo che non sappiamo come comportarci e siamo pieni di stereotipi e pregiudizi sulle persone disabili: siamo rinchiusi in casa. Di disabilità poi non si parla mai. È la condizione umana più ignorata dai media, e quando ne parlano lo fanno in maniera goffa e svalutante. Siamo ancora troppo abituati a parlare di sostegno alle famiglie e ai caregiver, a glorificarne i sacrifici, finendo per normalizzare il ricadere del lavoro di cura non retribuito che ne deriva sulle donne. Questo nuovo governo non è da meno con queste dinamiche, ma in questo modo la persona sarà sempre troppo dipendente dalla benevolenza del nucleo familiare, a rischio di abusi e invisibilizzazione. Un rischio che aumenta se la persona appartenente a categorie già depotenziate come minori, anziani, donne, LGBTQ+, migranti con disabilità. Si parla di discriminazione di posizione, relativa cioè alla posizione che la persona o il gruppo occupa nello spazio sociale in funzione del capitale economico, culturale, sociale e simbolico posseduto.

Cosa può fare un* attivista con disabilità per la propria comunità?

Rete. Tanta rete e collaborazioni con persone diverse. Rilanciare le iniziative positive, sostenere il lavoro degli altri attivisti con o senza disabilità. E fare tutto quello che non faccio io, quindi parlare e esporsi tanto, senza timidezza, con entusiasmo e combattendo la propria sindrome dell’impostora. E rompere tanto le palle. Quello che suggerirei a ogni attivista in generale insomma: informarsi e diffondere quello che si scopre.

 

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Cosa vorresti cambiasse nella narrazione mediatica della vita delle persone con disabilità?

Ma tutto. Da che parte mi giro leggo cazzate, di persone disabili eccezionali che superano la disabilità e dimostrano a tutti che niente è impossibile se ci credi veramente. Per chi lavora nella comunicazione sembra che chi è disabile debba sempre solo essere un esempio di forza e resilienza, un simbolo della forza di volontà. Si passa dal disabile-poverino al supereroe a seconda dell’esigenza. Dalla disabilità vista come tragedia e fonte di sofferenza ai super-disabili che devono riscattarsi dalla disabilità perché vista come qualcosa di negativo. Poi come ci stupisce che i disabili che hanno più visibilità siano infarciti di abilissimo interiorizzato e appoggino questo tipo di narrazione. Dobbiamo abituarci a dare voce direttamente alle persone disabili, e passare il microfono anziché parlare al posto loro, e spalancare le orecchie.

C’è qualcosa che ti preoccupa di questa epoca contemporanea?

Il disinteresse dell’altro e la mancanza di ascolto e empatia. Il voler sindacare cosa l’altro deve fare della propria vita. Io sono curioso di natura, mi interessano le storie degli altri e la gentilezza mi viene spontanea. Sono una paladina della giustizia dalla parte dei vulnerabili. Quindi se mi metti di fronte a spauracchi come il politicamente corretto e la cancel culture vado in tilt, esplodo. Error 404. Non li concepisco, sono delle scuse per non ammettere che non ce ne frega un cazzo dell’altro. Punto. Senza mezzi termini. Che non vogliamo prenderci le responsabilità di quello che diciamo, perché sono sempre gli altri troppo sensibili. E non siamo minimamente disposti a mettere in discussione i ruoli di potere. Tu dimmi “eh ma non si può più dire niente” e io mi ribalto dalla sedia con la bava alla bocca.

 

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E di questo governo Meloni?

C-I-A-O. Questo governo mi sembra l’emblema del disinteresse e dell’ostilità rispetto a ciò che non è conforme. Guardiamo alle devianze giovanili da combattere con lo sport o a suon d’umiliazione. Dalle dichiarazioni di cui ci hanno deliziato recentemente e negli anni le principali figure politiche di questo governo di certo l’orizzonte non è roseo per nessun gruppo marginalizzato. Sicuramente non per noi della comunità lgbtq+. Il presidente Giorgia poi ha fatto della sua figura politica un’ancella del patriarcato, altro che soffitto di cristallo. Il fatto che sia biologicamente donna non cambia nulla, i messaggi e i valori di cui si fa portavoce – Dio patria e famiglia rigorosamente tradizionale – sono quanto di più patriarcale e paternalista esista nel mondo occidentale. Certo a livello di marketing il suo staff ha fatto un lavoro magistrale, uno studio del target e di quello che vuole sentirsi dire per proteggere lo status quo impeccabile. Una situazione che richiede a ognunə di noi di non restare indifferente, di prendere posizione.

Un messaggio alla comunità di Gay.it in questa Giornata mondiale delle persone con disabilità

Le persone disabili sono in ogni strato della società, dappertutto. Sugli schermi, nelle notizie, nelle scuole, nei nostri vicini di casa, amici, compagni di classe, colleghi. E non siamo solo quelli dei corpi sghembi e non conformi, la maggior parte delle disabilità non sono visibili. Disabilità intellettive, psichiche e emotivo-relazionali, per le quali c’è ancora più stigma e intolleranza, che danno fastidio e non capiamo, che preferiamo tenere lontano dagli occhi. Vogliamo attenzione, dignità e interesse, ogni giorno. Vogliamo diritti e tutele. Ascolto e presenza. Vogliamo essere protagonisti in ogni contesto sociale. Dapper-tutto. Ogni-giorno. E possiamo farlo, possiamo partecipare al massimo del nostro potenziale se il contesto ce lo concede. E il contesto è ognunə di noi. Sei tu e le piccole pratiche di inclusione che puoi portare avanti ogni giorno. Perché l’inclusione è pratica continua e costante. Sono continui esercizi di attenzione. Piccole nuove abitudini a cui non siamo stati abituati. L’accessibilità è una questione di esercizio di ogni singolo giorno.

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