UN ANATROCCOLO GAY

Stupefacenti rivelazioni su Hans Christian Andersen e le sue celebri fiabe: amori impossibili, identità nascoste. E quella lettera all'amico Edward: "Languo per te come una ragazza di Calabria…"

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Chi ricorda la favola di Hans Christian Andersen Il brutto anatroccolo?

Più o meno suonava così: c’era una volta…un gran brutto anatroccolo che nello stagno veniva preso in giro dai suoi fratelli di covata ma che crescendo divenne uno splendido cigno, il più bello dei cigni. Ahi. Se il nostro ricordo è soltanto questo sarebbe utile, prima di stupefacenti rivelazioni sulla novella, su altre fiabe dell’autore e sull’autore stesso ripassarla insieme.

Cera una volta un’anatra che covava tra le cane del fossato di un antico castello. Di lì a breve nacquero numerosi anatroccoli uno dei quali spiccava perché era “molto grosso e molto brutto”. Si appurò che non era un tacchino perché sapeva nuotare perfettamente. La madre decise di presentare i propri piccoli alla “corte delle anatre” per far loro conoscere il mondo. Il brutto anatroccolo, il diverso, “fu preso a beccate dalle anatre e dai polli” ed “era scacciato da tutti e anche i suoi fratelli lo trattavano male…la ragazza della fattoria…lo respingeva con il piede” e ancora la più in vista fra le anatre ebbe a dire della covata: “Sono tutti bei ragazzi, salvo quel povero disgraziato là. Se poteste rifarlo sarebbe una bella cosa”.

Il poveretto deriso e beffeggiato scappò. Durante il suo vagare senza meta incontrò le anatra selvatiche che lo accolsero, ancora una volta con durezza: “Sei di una bruttezza impossibile…ma questo a noi importa poco purché tu non prenda moglie nella nostra famiglia”. Anche questa volta il piccolo se ne andò. Poco dopo incontrò una vecchia che aveva un cane e un gatto e che lo accolse. Purtroppo il brutto anatroccolo non sapeva ne fare le uova ne fare le fusa e fu scacciato. Non era ne una normale gallina ne un normale gatto la sua natura era diversa e per questo non era stato accettato. L’anatroccolo decise di girare il mondo. Un giorno, per caso, incontrò i cigni. Non sapeva dare un nome a quegli splendidi uccelli “ma sentiva di amarli come non aveva mai amato nessuno”. I cigni volarono in alto e lontano e venne un gelido inverno. Quasi svenuto per il freddo il piccolo fu raccolto da un contadino ma la moglie lo scacciò. Venne, infine, la primavera e lo sventurato “Si trovò in uno splendido giardino dove in un ruscello nuotavano regali cigni”.

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Si avvicinò “mi beccheranno a morte per punirmi di aver avuto l’ardire di avvicinarmi. Ma preferisco essere ucciso piuttosto che…soffrire”. Abbassò il capo in attesa che lo beccassero a morte e aprendo gli occhi si specchiò nel ruscello. Crescendo era diventato uno splendido cigno: “Si sentiva felice, compensato di tutte le miserie e le disgrazie subite. Ora comprendeva la sua felicità e sapeva apprezzare lo splendore che lo circondava. E i grandi cigni lo lisciavano con il becco”. Anche i bambini nel vederlo saltavano dalla gioia e il piccolo, ormai cresciuto, nascondendo per pudore il capo sotto all’ala pensò “Non avrei mai sognato tanta gioia, quando ero ancora un brutto anatroccolo”.

A questo punto vi chiederete che diavolo centri tutto questo con l’omosessualità. Ma non è palese che la favola Il brutto anatroccolo racconti il difficile percorso dell’omosessuale che cerca i propri simili e le sue enormi difficoltà nel farsi accettare? Quanti omosessuali giovanissimi sono stati beffeggiati e derisi? Quanti hanno provato sulle proprie ‘piume’ un senso infinito di solitudine pari a quello del brutto anatroccolo? Quante volte abbiamo provato il senso di essere sbagliati e fuori posto? Quante volte la fuga, o purtroppo la morte, ci sembrava l’unica soluzione alla nostra diversità? E quante ‘anatre’ abbiamo dovuto incontrare prima di trovare ‘cigni’ simili a noi? Quanta gioia da stare anche tra propri simili mostrando anche ai bambini le proprie piume?

Siete scettici e vi sembra che stia prendendo lucciole per lanterne?

In effetti la novella potrebbe parlare genericamente di diversità e quindi descrivere perfettamente la sofferta condizione di un omosessuale non accettato. Solo la prova che l’autore fosse omosessuale potrebbe essere garanzia che lo stesso abbia voluto parlare proprio di questo.

Una enciclopedia che ho tra le mani dice genericamente che Hans Christian Andersen nacque in Danimarca nel 1805 in una famiglia molto povera tanto che non riuscì a concludere gli studi. Scrisse poesie e opere teatrali viaggiò molto. Raggiunse la gloria grazie alle Fiabe. Tutta la sua opera è pervasa da “una sottile vena di malinconia” e rieccheggia i suoi “amori infelici” per alcune donne. Donne? Non solo. L’enciclopedia dimentica che già in passato si vociferava della presunta omosessualità dell’autore e soprattutto della sua amicizia contrastata con Edward Collin. Andersen in occasione del matrimonio dell’amico scrisse La Sirenetta che, forse per caso?, narra le vicende di un essere metà donna e metà mostro innamorata perdutamente di un principe irraggiungibile. La stessa affronterà ostacoli insormontabili senza riuscire a conquistarlo.

Inoltre i diari e le lettere dell’autore sono cosparsi di sottointesi ‘espliciti’ sulla sessualità dello scrittore. Ecco uno stralcio di una lettera di Hans a Edward: “Io languo per te come una bella ragazza di Calabria…i miei sentimenti per te sono come quelli di una…donna…La femminilità della mia natura e la nostra amicizia devono restare un mistero”. Per non lasciare spazio al dubbio aggiungo uno stralcio del suo diari che dice, ad esempio, che Hans fanciullo era solitario e non giocava con i coetanei se ne stava solo in casa e la sua “più grande gioia era fare i vestiti per le mie bambole”.

Ci pare più efficace la testimonianza di un professore di letteratura tedesca, Hans Mayer nel testo I diversi (Garzanti 1977), che aggiunge alle nostre argomentazioni i viaggi che portavano lo scrittore, come numerosissimi omosessuali nell”800, nel sud Italia. Il Sud diventa per Andersen “il paese della felicità. Sebbene con quella singolare differenza che è rivelata dalle lettere di Andersen, per cui ogni appagamento nella contrada meridionale egli può sentirlo soltanto come surrogato per i mancati incontri con gli amici danesi”.

Altri letterati sostengono, non negando l’attrazione dello scrittore per gli uomini, che tutti i suoi amori furono platonici e lo stesso Edward Collin dichiarerà nelle sue memorie postume: “Mi trovavo nell’impossibilità di rispondere a questo amore e la cosa fece soffrire molto la natura profonda di Andersen. Altri amori rimasti platonici furono pure quelli per il giovane Duca di Weimar e per il ballerino danese Harald Scharrff”. Signe Toksving, in una biografia castigata, giunge ad affermare: “Egli stesso [Andersen] era questa sirena che cerca di conquistare l’amato, irraggiungibile principe mortale, sebbene incontri ogni ostacolo, come trovatella, come schiava come diversa…Perdeva il principe conquistato da un altra….Era una confessione della propria debolezza il fatto che qui Andersen si incarnasse in un personaggio femminile”. A nostro parere non era una confessione di debolezza ma l’espressione sincera della propria essenza di diverso di soldatino di stagno senza una gamba, di cigno solo e beffeggiato e di Sirena sofferente.

Omosessuale, omosessuale represso, bisessuale, casto o altro? Queste dispute lasciamole ai critici letterari. Ci basti il suo invito a cercare i nostri simili e a mostrare le nostre splendide piume. E’ l’invito di un uomo, come dice Mayer che “non descriveva più infelicità e felicità, ma l’incurabile diversità della sirena, del soldatino di stagno mal riuscito, del cigno nello stagno delle anatre, che tuttavia deve vivere nello stagno, dove non si riconosce, nel cigno, il rappresentante di una specie superiore. In modo che lo scandalo è sempre in agguato, e può essere scatenato da un bambino che vede che l’imperatore è nudo” ma, in fondo, squisitamente vero.

di Stefano Bolognini

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