Il 1928 è un anno molto particolare per la letteratura in lingua inglese. Il Regno Unito, infatti, è scosso dalla pubblicazione di tre romanzi, poi diventati classici, che affrontano da prospettive nuove e oblique il tema delle relazioni e della, anzi delle, sessualità. Se Orlando di Virginia Woolf – da poco ripubblicato in Italia nelle traduzioni di Nadia Fusini per Neri Pozza e di Sara Sullam per Mondadori – è da leggere come una commovente epistola d’amore che la scrittrice dedica alla compagna Vita Sackville-West, L’amante di Lady Chatterley di D.H. Lawrence alza l’asticella dell’indicibile. Il libro, che introduce per la prima volta nel patinato milieu letterario inglese torpiloqui connotati sessualmente, racconta la relazione adultera tra Lady Constance, la moglie di un baronetto rimasto ferito in guerra, e Oliver Mellors, un umile guardiacaccia, scardinando così qualsiasi tabù relativo all’Eros più sferzante e, cosa ancora più seria, alla suddivisione in classi sociali. Oscurato, pubblicato privatamente a Firenze ed edito ufficialmente in Inghilterra solo nel 1960, il testo di Lawrence partorisce un’eroina che diventa il simbolo di una nuova consapevolezza femminile, di una donna che vuole amare a partire dal desiderio, conoscere e conoscersi a partire dalla pelle. Constance è, infine, addirittura l’emblema di quel furore battente, che tormenta l’Europa inquieta tra le due guerre e che spinge, senza stancarsi, al cambiamento e alla rivoluzione dei costumi.
Il terzo romanzo in questione, quello su cui occorre concentrarsi maggiormente, è il meno noto tra i tre. Si tratta de Il pozzo della solitudine di Radclyffe Hall, una scrittrice – nata Marguerite, spesso chiamata per sua stessa scelta anche con il nome maschile John – che appartiene a una famiglia molto benestante di Bournemouth e che sconvolge la morale del suo tempo, abbracciando con consapevolezza una sessualità ritenuta non solo corrotta, ma anche illegale (Il Sexual Offences Act del 1967 è ancora molto, troppo, lontano). Hall, spesso ritratta in abiti maschili, non fa infatti mistero della sua omosessualità e della relazione con la scultrice e traduttrice Una “Vincenzo” Troubridge.
Nel 1928, appunto, l’autrice si rivolge al suo editore Jonathan Cape confessandogli di essere impegnata nella stesura di un lavoro come non ce ne sono mai stati fino a quel momento, un romanzo la cui prosa si pone al servizio di tutte le persone che più sono state perseguitate e incomprese nel mondo. Attingendo evidentemente al suo personale vissuto, nel Pozzo Hall racconta la presa di coscienza di unə protagonista che non solo si interroga sui termini della propria identità («Una creatura a metà strada tra i due sessi»), lottando contro gli ideali di genere vittoriani, alla ricerca di un proprio posto in un mondo già strenuamente binario, ma che finisce anche per innamorarsi di una coetanea, Angela. L’omosessualità femminile, che nel romanzo non è mai apertamente associata a lemmi come «saffico», «lesbica» o «lesbismo» è descritta come una condizione insindacabile, ma comunque misera o quantomeno infelice, assolutamente tormentata. Mentre Stephen si chiede: «Perché sono come sono, e cosa sono?», sua madre replica ferocemente: «Quello che sei è un peccato contro la creazione». Il testo termina, non a caso, con un appello aperto verso il cielo a cui lə protagonista chiede: «Riconosci, o Dio, la nostra esistenza, davanti al mondo intero. Concedi anche a noi il diritto di esistere!».
Da qualche settimana il romanzo di Hall è in libreria nella nuova puntuale traduzione di Alessandro Fabrizi e Francesca Forlini. Grazie a Neri Pozza, che lo ri-edita, possiamo riscoprire il primo scritto «lesbico» della letteratura mondiale, la cui storia editoriale è emblematica di quello che significava, e che spesso tragicamente ancora significa, raccontare la smarginatura, la disubbidienza a ciò che è considerato tollerabile e il peccato. Sebbene in una fase iniziale, il romanzo venga accolto con un affetto inimmaginabile, soprattutto dal pubblico che esaurisce in tempi molto rapidi la prima tiratura, il 19 agosto James Douglas, redattore del Sunday Express lo condanna fermamente e, per descriverlo, ricorre a espressioni inequivocabilmente censorie. Secondo lui, il testo di Radclyffe Hall non è solo oltraggioso, ma è addirittura un «marciume impronunciabile», qualcosa di paragonabile a una «fiala di acido prussico». Così, nel giro di pochi giorni, l’entusiasmo lascia il posto alle critiche più efferate: il ministro degli Interni, Sir William Joynson-Hicks, chiede che il libro venga ritirato dal commercio, scatenando cori di disapprovazione e, sul versante opposto, ulteriori richieste di censura e mistificazione.
Moltə sono lə scrittorə che si schierano in difesa di Radclyffe Hall e della libertà di espressione, tra questi spiccano i nomi di Virginia e Leonard Woolf, di Rudyard Kipling e di tutta Bloomsbury. La scrittrice di La signora Dalloway firma proprio in quei giorni un intervento pubblico che le permette di ragionare intorno alla relazione tra la letteratura e l’osceno, chiedendosi cosa possa essere davvero considerato indicibile nel linguaggio della narrativa. Pur giudicando il romanzo, da un punto di vista strettamente letterario, insipido e insulso, Woolf ritiene inaccettabile una tale messa al bando giustificata, tra l’altro, solo da tristi motivazioni ideologiche. Al contrario di Lawrence, infatti, Hall sceglie per i suoi testi una lingua parecchio mansueta, mai beffarda o ingiuriosa, bensì casta e puritana, che non può in alcun modo disturbare lə lettorə vittorianə. Quello che infastidisce – è indubbio – è la libertà con cui si racconta una relazione omoerotica e l’inedito, seppur timido, riferimento all’orgasmo femminile.
Radclyffe Hall e il suo romanzo finiscono in tribunale, il 9 e poi il 16 novembre 1928. L’atteggiamento dei giudici, al quale la scrittrice risponde con decisa opposizione, è fermo: il libro è da considerarsi depravato e corrotto, per questo motivo si richiede la distruzione di ogni singola copia stampata. Il pubblico deə lettorə si indigna, il testo viene venduto in Francia, soprattutto a Parigi, dove Hall diventa una vera e propria eroina. Sono numerose, infatti, le librerie che espongono la sua fotografia e che ne sostengono il coraggio. Bisognerà, però, aspettare ancora molti, moltissimi anni, per la precisione il 1954 (la scrittrice sarà morta da undici anni), per ritrovare Il pozzo della solitudine nelle librerie inglesi.
Il pregio di questo testo, che è comunque sostenuto da un tono moraleggiante e che ci consegna un racconto dell’omosessualità ormai un po’ superato e anche a tratti, oggi, problematico, risiede nel coraggio di chi lo ha scritto e nella forza dellə protagonista. Nel 1928, esattamente come l’Orlando di Woolf e come la Constance di Lawrence, la voce di Stephen può davvero sortire l’effetto di una fiala di acido prussico. Corrode, porta alla luce quello che ancora non si vede. Stephen è stata la prima, ma la sua storia è quella di moltə. Per moltissimi anni, intere generazioni di lesbiche hanno avuto solo questa vicenda a fare da specchio. Un romanzo può fare anche questo, nessuno tocchi i romanzi.
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