SOMATIZZARE I CONFLITTI

Una accettazione parziale della propria omosessualità, sesso subito con violenza, relazioni familiari difficili. Tutto sfocia in dolori a un braccio e crampi all'ano. L'esperto.

SOMATIZZARE I CONFLITTI - leo9 12 3 - Gay.it
7 min. di lettura

Salve
mi chiamo S., sono un ragazzo gay di 25 anni. Sono single, studio (sto per laurearmi) e faccio intanto un lavoro part-time. In questo periodo della mia vita sto decidendo di iniziare a fare psicoterapia per una serie di problemi che avverto: mi sento depresso, ho la sensazione di mancanza d’affetto, evito da un po’ gli ambienti e le amicizie gay e quindi anche la mia vita sessuale è messa da parte, ho difficoltà nel capire quale strada professionale intraprendere, ecc.
Due problemi in particolare rendono poi la mia esistenza difficile. Entrambi sono legati al mio corpo, e non so se sono causa o conseguenza dei disagi di cui parlavo sopra. Non centra l’estetica (mi piaccio abbastanza), ma credo si tratti di problemi psicosomatici. Uno dei due riguarda peraltro la mia sessualità.
Il primo investe il mio braccio destro: sono arrivato fin quasi a non riuscire più ad usarlo, pur non avendo potuto riscontrare alcun tipo di patologia organica (ho fatto tutti gli esami possibili, compresi quelli inutili). Il disagio ha iniziato a manifestarsi cinque anni fa. Tenga presente che io studio uno strumento ad arco ed allora era un periodo in cui mi sentivo sotto pressione per l’imminente esame al Conservatorio. In origine ho pensato che il fastidio potesse essere legato ad una postura e ad una presa non fisiologicamente adeguata (uso il braccio destro per fa scorrere l’arco sullo strumento), ma il problema persisteva anche nei periodi in cui non suonavo. Quasi peggiorava. C’era quindi dell’altro! Ho avuto un rapporto in parte conflittuale con lo strumento, soprattutto all’inizio (ho cominciato a studiarlo a 10 anni), poiché mi sono sentito abbastanza spinto dai miei. Obiettivamente, sebbene in certi momenti pensi che avrei potuto fare tutt’altro, amo molto la musica e mi riconosco delle qualità come musicista e come teorico. Attualmente con la musica ci lavoro e continuo a studiarla, faccio attività con i bambini nelle scuole, suono con diverse orchestre e gruppi. Mi piacciono tutte queste cose, anche se non sempre ho voglia di suonare.
Il secondo problema è più direttamente collegato all’omosessualità. Un anno e mezzo fa ho avuto una brutta esperienza sessuale; sono stato penetrato violentemente da un ragazzo con il quale non c’era nemmeno molto feeling. Il mattino dopo sanguinavo e avevo delle fitte fortissime. Il dolore lancinante è scomparso ma è sempre rimasta una sensazione di fastidio e irritazione nella zona dell’ano. Dopo innumerevoli visite, un proctologo mi ha aiutato a comprendere che il ‘fastidio’ è dovuto a un crampo di natura psicosomatica. Ogni tanto ripenso al ragazzo che mi ha usato violenza – era tra l’altro il mio primo ‘ragazzo’ – e, nonostante non lo veda da molto tempo, quando pochi mesi fa ho avuto un picco della mia ossessione per il fastidio anale, sono ritornati forti rancori verso di lui, per come si è comportato. Quando sto male, rimugino sull’accaduto e tutto sembra ingigantirsi!
Per quanto riguarda la mia famiglia, siamo in cinque: mio padre, mia madre, io, un fratello e una sorella più piccoli. In questi anni ho chiuso i rapporti con mia mamma, forse mi aspettavo qualcosa di più da lei, e anche se all’inizio ‘stravedevo’ per lei, non credo di volerle bene in questo momento. Ha una visione della famiglia fortemente legata alla religione cattolica – è il suo pane! – e mantiene un rapporto a sua volta molto conflittuale con la madre (sono due donne dogmatiche ed aggressive). Io amo la conoscenza, amo i ragionamenti, e le lascio immaginare come si discute in casa… quando si discute! La mia omosessualità mia madre non la ha mai apertamente attaccata, ma credo mi consideri un ‘poverino’ che, se capisse quali sono i valori della vita, si salverebbe. Lei mi vuole bene, lo so, e vorrebbe riconquistarmi, ma io ho messo un muro.
Quello che voglio chiedere a lei ora è questo: esiste una terapia psicologica adeguata a questo tipo di problema? Esiste qualcuno che si possa occupare di me? Diverse persone, e tra esse una psichiatra, mi hanno consigliato di rivolgermi a uno psicologo che conosca da vicino i problemi dell’omosessualità.
Saluti
S.

Definisco i problemi e i sintomi di natura psicosomatica come comportamenti “retroflessivi”. La retroflessione è un’inversione su se stessi di quello che può essere originariamente un movimento, un’azione, l’espressione di un sentimento, in cerca di una via di sbocco verso l’ambiente, verso un’altra persona o gli altri in genere. Faccio un esempio: sento rabbia per un amico avvertito scortese o squalificante nei miei confronti, non mi do il permesso di esprimere la rabbia (perché magari ho riscontrato in passato più volte disapprovazione quando provavo ad arrabbiarmi, e sono oggi io stesso a disapprovarmi se sento di poter essere aggressivo), contraggo allora le mascelle invece di mostrare i denti; freno l’energia sviluppando tensione nelle articolazioni o nei muscoli delle spalle, piuttosto che agitare le braccia; stringo la gola e blocco il respiro per evitare di alzare la voce; arrivo forse a farmi del male con le unghie nel palmo della mano, perché stringo forte i pugni invece di batterli sul tavolo davanti a me, ecc. Se faccio questo abitualmente, automaticamente, la tensione nelle spalle può diventare col tempo un crampo, la mia voce può essere costantemente bassa ed inespressiva, la gola può dolermi e così via.
Il mondo reale nel quale viviamo e agiamo ci mette spesso di fronte a frustrazioni e difficoltà. Ci sentiamo, di frequente, in condizione di dover conciliare i nostri bisogni con quelli degli altri, oppure avvertiamo di dover trattenere, rimandare, o esprimere in maniera limitata, una nostra esigenza. E fin qui siamo solo nell’abito di fisiologiche forme di mediazione con i nostri simili. Ma se alcuni nostri bisogni vengono sistematicamente frustrati e respinti, se l’espressione diretta dei sentimenti più intimi si scontra, nel corso del nostro processo evolutivo, con un precoce, frequente o perenne diniego, possiamo imparare a bloccare cronicamente, e a volte senza consapevolezza, quei movimenti in grado potenzialmente di offrire una forma piena alla comunicazione del nostro mondo interiore. A volte i genitori non consentono ai figli di svilupparsi spontaneamente (e parlo di spontaneità, cosa diversa da impulsività e da “faccio tutto ciò che voglio!”), seguendo il processo naturale di diversificazione e di rivelazione delle proprie peculiarità, a causa del disagio che sostenere ciò può provocare in essi, avendo forse a loro volta sviluppato in molti casi l’attitudine a sforzarsi di spegnere o controllare spontaneità ed emozioni. Il rischio per il figlio è di continuare a negare e comprimere se stesso nel corso dell’esistenza, non riuscendo a sperimentare di poter sostenere pienamente ciò che sente di essere.
Con queste premesse voglio intanto dirti – e parto dal secondo dei sintomi da te riferiti – che non basta un trauma, per quanto spiacevole ed umiliante esso possa essere, a far sviluppare un disturbo psicosomatico (in questo caso la costrizione all’ano). Sono centrali in questi casi le modalità relazionali di base di chi l’evento traumatico lo subisce, la sua disposizione di fondo nei confronti dell’ambiente, e le esperienze pregresse che hanno potuto contribuire a forgiare la matrice dell’identità personale. In altri termini, se tu hai sviluppato una tensione stabile all’ano non è solo perché il tuo ex è stato violento durante un atto d’amore con te; possono essere coinvolti in questo molti altri aspetti di natura relazionale. Lui può avere forse percepito in te un eccesso di remissività, e ciò gli ha consentito di non essere rispettoso o di figurarsi un tuo gradimento per quel tipo di rapporto. Sembra inoltre che tu non sia stato dopo aggressivo in maniera piena ed attiva con lui, e probabilmente non lo sei in genere (sembri preferire modalità “passive” di espressione dell’aggressività, quali “ergere un muro”). La tua aggressività potrebbe essere stata allora retroflessa. Un ulteriore aspetto connesso, insieme agli altri, al tuo sintomo, potrebbe risiedere in una scelta non piena di quel ragazzo come partner, e in un coinvolgimento tiepido nei suoi confronti (“non c’era molto feeling”). Può darsi che tu non sentissi veramente di volerti “lasciare andare” a lui… e potrei seguitare a fare ipotesi.
Il disturbo e la tensione possono essere diventati ora espressione del tuo timore di essere ancora aggredito, di chiusura e protezione verso un ipotetico altro che senti di non poter fronteggiare e, insieme, comunicazione indiretta e parziale di un rifiuto, di un “no”. Un “no”, che potresti forse dire più in là, simmetricamente ad un “si”, in maniera diversa, diretta, con tutto te stesso, in una relazione.
Mi dai l’idea, per quello che scrivi (la modalità della consulenza on-line mi impone cautela e rispetto), di essere un ragazzo che passa da posizioni di estrema disponibilità e attenzione verso l’esterno, e magari di idealizzazione dell’altro (“stravedevi” per tua madre), a momenti di rigida e risentita chiusura (affermi ora di non volerle bene e di “aver innalzato il tuo muro”). Nessuna delle due modalità, seppure opposte, fa pensare a una tua piena centratura ed affermatività. Entrambe ritengo ti facciano comunque rimanere troppo “agganciato” all’altro. Continui a pensare infatti con risentimento al tuo ex, focalizzi l’attenzione su tua madre seppure in “negativo”, mi scrivi dei valori nei quali lei si riconosce e cosa tu supponi lei pensi della tua omosessualità, ma, mi domando: le hai mai chiesto cosa pensa davvero, vi siete confrontati? E tu, cosa pensi del tuo essere gay? Non me lo hai mica scritto! So forse qualcosa delle “teorie” di tua madre, non certo delle tue!
Anche l’altro sintomo, quello del braccio, può essere letto come comunicazione indiretta di una tua insicurezza ed incertezza, un “no a metà”, e non alla musica – appare chiaro che la ami e la scegli -, ma alle situazioni vissute come costrittive, quelle che senti di non scegliere davvero. Non è così raro, in situazioni come le tue, arrivare a dire no paradossalmente a quanto può risultare attraente e desiderato, perdendo di vista la finalizzazione di cernite e ripulse. È come, per usare una metafora, prima ingoiare e poi vomitare, rinunciando alla possibilità di destrutturate la realtà dinamicamente, masticandola! Immagino in tal senso che non solo ti piaccia suonare e studiare la musica, quando e come vuoi, ma che possa altresì piacerti fare l’amore, magari con una persona con la quale stai davvero bene.
Ho potuto darti inevitabilmente solo indicazioni di massima come stimolo di riflessione. Non è detto che tu debba riconoscerti in esse. Prova a tirar fuori e ad usare già nei confronti di quanto ti scrivo la tua capacità critica. Un percorso terapeutico può aiutarti non soltanto ad abbandonare i sintomi, ma a sviluppare capacità di “contatto” con l’ambiente maggiormente assertive ed armoniche. Ti scriverò in privato per consigliarti colleghi presenti nella tua zona. Ti lascio, rivolgendoti intanto l’augurio di poter arrivare presto a fare l’amore con un partner sentendo di poterti coinvolgere con la consapevolezza di aver davvero scelto di esser-ci, e con la stessa pienezza, armonia e senso di unione, che immagino vivi quando suoni il tuo strumento ad arco.
Giuseppe Iaculo

di Giuseppe Iaculo

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